
I DIPINTIa Palazzo
I Dipinti
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La quadreria del XVII sec. [1/3]
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Margherita d’Austria regina di Spagna dal 1599 (1584-1611) Artista spagnolo Secolo XVI-XVII Olio su tela Cm. 67x52 Inv. 1082 Posizione: IX. Sala di Pallade |
Sulla tela in alto abbiamo la seguente la scritta:
[M]ARGARETA. D(ei). G(ratia).
HISPANIÆ REGINA.
Figlia del Granduca Carlo Il e di Maria di Baviera, Margherita (1584-1611), andò sposa nel 1598 a Filippo III di Spagna. In occasione del matrimonio, celebrato per procura a Ferrara dal papa Clemente VIII, fu ospite per qualche giorno della corte gonzaghesca dove concesse l'onore a Vincenzo di fare da madrina a sua figlia Eleonora. La figura, compressa in primo piano, risalta vivacemente sul fondo uniformemente scuro. I lineamenti marcati, i grandi e scintillanti occhi neri, la morbida carnagione, di una calda tonalità avorio, sono messi in risalto con quella vivacità tipicamente spagnola, che contraddistingue i ritratti della corte madrilena dell'epoca. Probabilmente eseguito a cavallo tra Cinque e Seicento questo caratteristico dipinto fornisce un tipico esempio di quella ritrattistica spagnola che ebbe in Alonso Sánchez Coello (1531/32-1588), Pantoja de la Cruz (1553-1608), Bartolomeo Gonzales (1564-1627) e Francisco Pacheco (1571-1654) i suoi migliori interpreti. Difficile proporre una attribuzione più precisa dato che tutti questi pittori giunsero ad esprimersi con un linguaggio comune ed indifferenziato che rende molto difficile il riconoscimento delle varie personalità artistiche.
Donatella Mattioli
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Ritratto di Lavinia Rovelli (?) Frans Pourbus il Giovane (Anversa 1569 - Parigi 1622) Olio su tela ovale Cm 72x56 Inv. 1352 Posizione: III. Sala dei Ritratti |
Non abbiamo notizie sicure per una corretta identificazione della dama, forse Lavinia Rovelli, dal 1590 moglie di Annibale I Chieppio, ministro del duca di Mantova, Vincenzo I, che fra il 1592 e il 1618 ebbe quindici figli. Rimasta vedova nel 1623, morì il 4 luglio 1635.
Rodolfo Signorini
Osserviamo il ritratto: il volto pacato, sottilmente ombrato dal chiaroscuro morbido che gradua con dolcezza il passaggio dal candore del collare all'impasto dell'incarnato; il naso, piuttosto lungo, ingentilito dalla mansueta serenità dello sguardo; un mirabile esercizio descrittivo il trapasso dall'ovale al gioiello pendente dal lobo dell'orecchio; una prova di esattezze l'acconciatura che corona il volto: i capelli prima liberi in ricci fitti che sfumano sulla fronte, poi lisci a diadema, infine mossi in minuscole volute, resi preziosi da perle e altri monili. Il volto appare incastonato nel bianco collare, che svapora all'esterno in una trina assai ricca, scritta rapidamente, senza indugi calligrafici. Le tinte annerite non permettono di leggere con altrettanta precisione il costume, su cui spiccano la ricca collana e un medaglione pendente.
Chiara Tellini Perina
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Ritratto del duca Vincenzo I Gonzaga (1562-1612) Frans Pourbus il Giovane (Anversa 1569-Parigi 1622) Olio su tela Cm 114x108,5 Inv. 1101 Posizione: IX. Sala di Pallade |
Il duca Vincenzo I, qui ritratto in età matura, stringe nella destra il bastone di comando e indossa una ricca armatura recante il motto SIC e l'emblema del crescente lunare, da lui adottati nel 1595 al tempo della sua spedizione contro i Turchi. Il principe reca inoltre il collare del Toson d'oro, concessogli da Filippo II di Spagna nel 1588. Già attribuito a Frans Pourbus il Giovane da Donatella Mattioli (1977), il dipinto è stato per la prima volta esposto nel 1977 alla mostra "Rubens a Mantova".
Franco Moro
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Donna con due garofani e spilla fra i capelli Seguace di Frans Pourbus il Giovane (Anversa 1569-Parigi 1622) Olio su tela Cm 56x50 Inv. 1077 Posizione: IX. Sala di Pallade |
La giovane dama, forse figlia di Annibale Chieppio, è colta con una espressione di quieta serenità, che lungi dal mitizzarla, ce ne tramanda un'immagine di donna tranquilla, più abituata a seguire i suoi impegni domestici piuttosto che quelli imposti dal suo rango sociale. L'abito elegantemente guarnito di passamaneria, la lunga collana di perle a due fili, che la dama sembra quasi ostentare con compiacimento, non bastano a cancellare l'impressione di una casalinga serenità. Due garofani rossi vezzosamente appuntati tra i capelli portano una nota vivace di colore interrompendo il giro un po' monotono del triplice collare di lino. Di evidente ascendenza pourbusiana questo pacato ritratto viene probabilmente a cadere entro il primo decennio del Seicento.
Donatella Mattioli
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Giovane in corazza con la mano destra posata sull’elmo Artista emiliano Fine del secolo XVI, inizi del XVII Olio su tela Cm. 115x81 Inv. 1087 Posizione: IX. Sala di Pallade |
Il dipinto è corrispondente all'opera già in Palazzo Chieppio nel 1684: "Un quadro in tella con l'effigie d'un prencipe con una mano sopra una celata, con cornice di noce all'antica.” (R.S.)
Franco Moro
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Cristo deposto Artista bolognese vicino ai Carracci Fine del secolo XVI, inizi del XVII Olio su tela Cm 41x36 Inv. 994 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Franco Moro
Secondo l'inventario "Rielaborazione seicentesca di un affresco del Correggio esistente nel pronao della Basilica di S. Andrea in Mantova".
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Crocefissione con la Madonna e san Giovanni Artista anonimo Fine del secolo XVI, primi del XVII Olio su alabastro Cm 12x9,5 Inv. 828 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
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Psiche respinta da Cerere e da Giunone Sante Peranda (Venezia 1566 – 1638) Firmata SANTV(S) / PERAN(DA) / F(ecit) C. 1610 Olio su tela Cm 128x209 Inv. 1193 Posizione: VII. Sala di Diana |
Del ciclo con Storie di Psiche, realizzato da Palma il Giovane e da Sante Peranda su commissione di Alessandro I Pico per la reggia di Mirandola, si conservano, oltre a questa, altre nove composizioni: Psiche trasportata sull'orlo del burrone alla presenza dei genitori in vesti regali (firmato: SANTU, Mantova, Palazzo Ducale, inv. n. 7036) Psiche trasportata da Zefiro al palazzo d'amore (Mantova, Palazzo Ducale, inv. n. 7034) Psiche taglia un fiocco di lana a uno dei caproni dal vello d'oro (Reca la sigla: S.P., Mantova, Palazzo Ducale, inv. n. 7040) Psiche riceve da Proserpina il vaso pieno d'aria infernale (Mantova, Palazzo Ducale, inv. n. 7039) Psiche osserva Amore dormiente (inedito); Psiche si vendica delle sorelle che l'avevano ingannata, pertanto la Parca tronca la loro vita (Mantova, Palazzo Ducale, inv. n. 7038); Psiche presenta a Venere il vaso dell'acqua nera (Mantova, Palazzo Ducale, inv. n. 7035); Psiche soccorsa da Amore (Mantova, Palazzo Ducale); Psiche presentata a Giove da Venere (Mantova, Palazzo Ducale, inv. n. 7037). Rimosso nel 1716 dal suo sito originario, già fortemente danneggiato dallo scoppio del torrione avvenuto due anni prima, il ciclo delle Storie di Psiche fu destinato dai Commissari imperiali al Palazzo di Mantova con altre opere della stessa provenienza, che qui tuttora ma in parte si conservano. Fu un atto conseguente alla perdita dello Stato da parte dei Pico nel 1704 e all'abbandono dei fastosi palazzi principeschi col dissolvimento della corte. Il ciclo fu commissionato dal principe di Mirandola per decorare i nuovi appartamenti da lui fatti costruire dopo essere salito al potere nel 1602. Possono aver motivato per prestigio la scelta tematica delle Storie di Psiche gli illustri precedenti iconografici cinquecenteschi romani, quelli raffaelleschi della Farnesina e di Perin del Vaga di Castel Sant'Angelo, o delle corti della Padania, come quello del Castello dei Rossi in San Secondo Parmense, ma soprattutto di Palazzo Té a Mantova, opera di Giulio Romano e seguaci. L'interpretazione iconologica di questi cicli dalle Metamorfosi o Asino d'Oro di Apuleio (libri III e IV), che ne costituisce la fonte letteraria, è complessa e talvolta contraddittoria. Prevale tuttavia quella di carattere platonico per cui la vicenda di Psiche, figura dell'anima umana, ne esemplificherebbe l'itinerario di purificazione mediante molte prove fino a renderla capace di amore divino. Nel caso del ciclo di Palma e Peranda per il Palazzo Nuovo di Mirandola, questa lettura metaforica si è vista rispondere alla tradizione di neoplatonismo della corte pichense. La tela datata presumibilmente al 1610 della Collezione D Arco consente di cogliere la ricerca di Peranda nell'ambito di una forte semplificazione strutturale dell'immagine, pur nell'ostentata conservazione degli illustri precedenti composi disegnativi cinquecenteschi, nella fattispecie veronesiani e tintoretteschi. Egli allarga partiture cromatiche semplificando il disegno, accentua il chiaroscuro che diviene più assorbente, tratta il colore in modo fuso e graduale senza creare spessore materico. È una sensibilità stilistica che si ritrova in buona parte delle scene superstiti.
Giorgio Fossaluzza
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Gruppo di gallinacei Artista lombardo Primi del secolo XVII Olio su tela Cm 62x43 Inv. 1374 Posizione: IV. Sala delle Nature Morte |
Franco Moro
Era attribuita a scuola genovese del secolo XVII.
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Giuseppe interpreta i sogni del faraone Artista del Centro Italia Inizio del secolo XVII Olio su tela Cm 35x26 Inv. 1208 Posizione: X. Sala Themis o della Giustizia |
Si tratta del Giuseppe dell’Antico Testamento, detto “egiziano” per distinguerlo dal Giuseppe padre di Gesù. È un figlio del patriarca Giacobbe e di sua moglie Rachele. Giuseppe, incarcerato a causa delle false accuse della moglie di Putifarre, incontrò in prigione due alti funzionari di corte che erano caduti in disgrazia. Ognuno di loro fece un sogno: il coppiere aveva sognato di pigiare grappoli d'uva maturi nella coppa del Faraone; il panettiere invece dei canestri pieni d'ogni tipo di pane che veniva mangiato dagli uccelli. Giuseppe predisse al primo che sarebbe ritornato al suo lavoro, al secondo che sarebbe stato impiccato. E così accadde. Mentre Giuseppe era ancora in prigione, il Faraone fece due sogni che nessuno poteva interpretare. Allora il coppiere si ricordò di lui e propose di andare a chiamarlo. Il Faraone raccontò allora davanti a Giuseppe e a tutti i saggi d'Egitto: "Mi trovavo su una sponda del Nilo. Dal fiume emersero sette vacche grasse e si misero a pascolare nel cariceto. Dopo di queste altre sette vacche emersero, ma magre, e divorarono le sette vacche grasse. Continuando a sognare, vidi spuntare da uno stelo sette belle spighe grosse. Dopo di queste crebbero sette spighe secche che divorarono le altre sette". Allora Giuseppe dette la seguente spiegazione del sogno: "Le sette belle vacche sono sette anni e le sette belle spighe sono altri sette anni. Si tratta dello stesso sogno... Arriveranno sette anni in cui ci sarà grande abbondanza in tutto l'Egitto. A questi seguiranno però sette anni di carestia". Giuseppe continuò: "Allora il Faraone si procuri un uomo intelligente e saggio e lo metta a capo dell'Egitto. Questi tassi l'Egitto di un quinto nei sette anni dell'abbondanza e accumuli tutto il grano così raccolto nei sette anni di prosperità come riserva per i sette anni di carestia". Allora il Faraone si sfilò il sigillo dal dito, fece avvicinare Giuseppe e glielo mise dicendo: "Poiché Dio ti ha fatto sapere tutto ciò, non vi è nessuno che sia così intelligente e saggio quanto te. Tu devi stare a capo della mia casa e tutto il mio popolo deve inchinarsi davanti alla tua parola. lo voglio essere più in alto di te solo per il trono". In seguito gli mise al collo una catena d'oro e pose Giuseppe a capo di tutto l'Egitto. Giuseppe fu vestito con abiti principeschi e trasportato con un carro da parata mentre un araldo annunciava la sua carica. (Genesi 40 e 41,1-46)
Gian Pietro Serra
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Dama con fiori e perla tra i capelli Artista fiorentino Inizi del secolo XVII Olio su tela Cm 64x52 Inv. 1095 Posizione: IX. Sala di Pallade |
Franco Moro
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Giove e Antìope Artista della cerchia di Annibale Carracci (Bologna 1560-Roma 1609) Primi del secolo XVII Olio su tela Cm 129x187 Inv. 1188 Posizione: VII. Sala di Diana |
Antìope, figlia di Nittèo, viene sorpresa da Giove che la farà madre di Anfiòne e di Zète. Entrambi i fratelli, che erano gemelli, nacquero sul Citerone, e furono allevati da pastori. Divenuti grandi, uccisero Lico re di Tebe, che aveva ripudiato la loro madre per sposare Dirce, la quale, per raggiungere il suo intento, aveva fatto chiudere in prigione. con false accuse, Antìope. Anfiòne. istruito meravigliosamente da Mercurio nel suono della lira, possedeva, in sommo grado, il senso della musica della quale la tradizione lo salutava inventore insieme col gemello Zete: e dal suo strumento sapeva trarre suoni così delicati e commoventi che, quando s'accinse a fabbricare le mura di Tebe, le stesse pietre andarono a collocarsi da sè, le une sulle altre. L'ingegnosa invenzione attesta quale straordinario potere abbia avuto la musica e la poesia nel dirozzare e ingentilire, col soffio divino dell'arte, i popoli primitivi. Anfione fu sposo infelice di Niobe. (Gian Pietro Serra)
Franco Moro
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Le due donne del giudizio di Salomone Guglielmo Caccia detto il Moncalvo (1568 - 1625) Inizio del secolo XVII Olio su tela Cm 88x122 Inv. 1197 Posizione: VII. Sala di Diana |
Franco Moro
... è un quadro che rappresenta Le due donne del Giudizio di Salomone (XVI-XVII sec.), nell'Inventario eredità riconosciuto invece come la Strage degli innocenti. Il quadro corrisponde perfettamente a quello registrato in Palazzo Chieppio nel 1684: "Un quadro in tella con l'effigie delle due donne che contendevano per il fanciullo morto per il giudizio di Salomone" e "Una cornice del quadro delle due donne che contendevano per il fanciullo morto per il giudizio di Salomone sopra descritto, bianca, intagliata".
Rodolfo Signorini
Già attribuito a Artista lombardo vicino a Pietro Ricchi (Lucca 1605/6-Udine 1675) e Daniele Crespi (Busto Arsizio 1597/1600-Milano 1630)
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Santa Cecilia intenta a suonare l’organo Artista genovese Primi del secolo XVII Olio su alabastro Cm 18x11 Inv. 986 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Franco Moro
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Adorazione dei pastori Artista veronese Inizi del secolo XVII Olio su ardesia Cm 28x25 Inv. 959 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Franco Moro
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Cristo in croce Antonie Van Dyck (Anversa 1599-Black-Friars, Londra 1641) (attribuito a) 1623 Olio su tela Cm 130x90 Inv. 977 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Già nel 1977 Donatella Mattioli, per la mostra "Rubens a Mantova" così descriveva il dipinto: "Durante il suo viaggio in Italia, nel novembre del 1623, anche Van Dyck fu ospite della corte gonzaghesca ed in questa occasione pare abbia eseguito un ritratto del duca Ferdinando Gonzaga (1587-1626), meritandosi come ricompensa un prezioso collare d'oro. Questo dipinto, sino ad ora inedito, si è sempre tramandato nella famiglia D'Arco come opera di Anton Van Dyck ed in effetti presenta straordinarie analogie con il Cristo in croce del Palazzo Reale di Genova (probabilmente eseguito attorno al 1622/23) e con quello della pala di S. Michele di Rapallo dei quali ripete la potente carica emozionale. Benché l'audace slancio verticale della figura ed il raffinato panneggio del perizoma rivelino un'eccezionale maestria tecnica, gli inconsueti giochi cromatici del corpo di Cristo lasciano ancora qualche perplessità che potrebbe comunque essere fugata da un accurato esame tecnico della tela."
Anche Franco Moro concorda sull'altissima qualità del dipinto e, vincolando il suo giudizio ad un' ormai improcrastinabile pulitura, assegna l'opera al Van Dyck.
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Paesaggio con incontro fra cavalieri e viandanti Artista della cerchia di Jan Wildens (Anversa 1586-1653) Prima metà del secolo XVII Olio su tela Cm 154x139 Inv. 1364 Posizione: IV. Sala delle Nature Morte |
Già attribuito alla cerchia di Paul Brill (1554 - 1626) da Maria Giustina Grassi (1980).
Franco Moro
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Santo monaco con il modellino di una chiesa Artista lombardo della scuola del Cerano Prima metà del secolo XVII Olio su tela Cm 58x24 Inv. 1074 Posizione: XII. Passettino dei Reliquiari |
Chiara Tellini Perina
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Ritratto dell’umanista Nicolò d’Arco (c. 1492-1547) Artista anonimo Prima metà del secolo XVII Olio su tela Cm 167x113 Inv. 307 Posizione: Segreteria Fondazione d'Arco |
Nicolò d'Arco era figlio di Odorico (1470-1528) e di Susanna Collalto. Fu un grande uomo d'armi e di cultura (alla sua penna si devono i "Numeri") ed ebbe per moglie Giulia Gonzaga di Novellara.
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Ritratto di bambino in abito blu Giuseppe Maria Perego (attribuito a) (attivo tra la fine del sec. XVII e l'inizio del XVIII) Prima metà del secolo XVIII Olio su tela Cm 88x68 Inv. 137 Posizione: Sala Gialla |
L'esecuzione del dipinto richiama i modi di questo raro artista, conosciuto solamente grazie a due dipinti in collezione privata uno dei quali firmato (A. Morandotti, in "La natura morta in Italia", Milano 1989, p. 291). Dallo stile di queste opere si può ipotizzare un'attività del pittore come ritrattista durante la prima metà del Settecento presso nobili famiglie lombarde.
Franco Moro
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San Francesco riceve il Bambino dalla Vergine Fra Semplice da Verona (c. 1589-1654) 1621-1622 Olio su tela Cm. 114x212 Inv. 972 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Il dipinto era già inventariato nella villa della corte Olmo Lungo dei Chieppio nel 1623 e nel 1684 (R.S.).
Dalle opere di questo artista emerge la fisionomia di un pittore che perviene ad esiti di alto livello qualitativo, perfettamente adeguati alle esigenze della committenza di corte, fondendo la cultura veneta - non solo quella veronese contemporanea (Turchi, Bassetti), ma anche quella del secondo Cinquecento veneziano (Veronese, Tintoretto) - con la vitalizzante esperienza della pittura dei Bolognesi (conosciuta negli anni del suo soggiorno parmense) e, giunto a Mantova, del Fetti. Anche nel quadrone della collezione d'Arco tali componenti stilistiche si leggono bene nell'impasto cromatico denso e ricco, nella calda luminosità del colore, negli accenti naturalistici di marca carraccesca e nella fluidità, molto fettiana, della pennellata. Il nostro quadro appare in linea con i dipinti di carattere più spiccatamente devozionale, come, per esempio, le due belle Pietà degli Uffizi e di Praga. Ma particolari tangenze sono ravvisabili anche - come già indicato da Angelo Mazza, con l'”Augusto e la Sibilla” di Chambéry, dove analoga è l'idea di spartire lo sfondo tra la quinta boscosa densa di ombre brune e il cielo percorso da nubi illuminate da una luce giallo-rosa di tramonto; così come molto simile è il taglio diagonale impresso alla composizione dalle figure inginocchiate di san Francesco e dell'imperatore, colpite di spalle dalla luce.
Elisabetta Saccomani
Immagine non disponibile | San Felice da Cantalice con il Bambino e la Vergine Fra’ Semplice da Verona (c. 1589-1654) Firmata e datata 1640 Olio su tela Cm 193x137 Inv. 814 Posizione: XII. Passettino dei Reliquiari |
I rapporti documentati tra il pittore, di cui sono note le peregrinazioni, e la nostra città, si ebbero soprattutto negli anni '20 e negli anni '40. A partire dal 1625 varie sue opere furono dedicate al nuovo beato dell'ordine, Felice da Cantalice, prima fra tutte la pala ufficiale, dipinta in occasione della beatificazione ed ora nella chiesa dei cappuccini di Ronciglione (Viterbo). Secondo la tradizione fra' Semplice, della cui educazione si hanno poche notizie, fu allievo a Verona di Felice Brusasorzi, ma il suo soggiorno in diversi importanti centri italiani lo portò a contatto con altrettanti diversi ambienti culturali: numerose sono ad esempio nelle sue opere le citazioni emiliane. Capitale sembra essere stata per la sua formazione la venuta a Mantova, dove ebbe la possibilità di accostarsi a Domenico Fetti. Nella tela con la Madonna e S. Felice la composizione, vista dal basso in scorcio, insiste su un'obliqua evidenziata dall'intensa luce che accompagna l'apparire della visione, come nella tela fettiana della chiesa di S. Gervasio [a Mantova]. E come in essa l'intento è di coinvolgere emotivamente i fedeli attraverso il mezzo pittorico, senza pietismo, insistendo sulla sincera espressione degli affetti. L'assorta tenerezza con la quale la Vergine assiste all'abbraccio, il volto intento del santo che regge il piccino con le grosse mani, timoroso quasi di fargli male, appartengono al quotidiano, così come le ampolle, il piatto sul tavolino e gli alberi, che appaiono al di là della porta spalancata sul paesaggio.
Maria Giustina Grassi
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Scena di galli Artista genovese ? Metà del secolo XVII Olio su tela Cm 39x32 Inv. 1383 Posizione: IV. Sala delle Nature Morte |
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Vergine immacolata Artista lombardo Metà del secolo XVII Olio su tela Cm 118x93 Inv. 978 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Franco Moro
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Ritratto di nobildonna Artista lombardo (Bergamo?) Metà del secolo XVII Olio su tela Cm 97x76 Inv. 1356 Posizione: III. Sala dei Ritratti |
Secondo l'"inventario eredità" redatto nel 1973/4 dal notaio Giorgio Cucchiari di Mantova "in costume seicentesco ... scuola lombarda del XVII sec." è il ritratto della marchesa Teresa Ardizzoni, figlia di Lelio di Ottaviano, moglie dal 1733 del conte Francesco Eugenio d'Arco e madre di Giambattista Gherardo. L'epoca in cui è stata dipinta la tela non corrisponde all'età di Teresa Ardizzoni. Rodolfo Signorini ipotizza sia Aurelia di Ottaviano Ardizzoni, sorella di Lelio e zia di Teresa.
Gian Pietro Serra
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