IL PERCORSOdi visita
La visita alla Palazzina del Falconetto è inclusa nel biglietto
Dopo aver visitato le sale di Palazzo d'Arco, il percorso prosegue nella Palazzina del Falconetto, dove si trova la celebre Sala dello Zodiaco.
LA PALAZZINA
del Falconetto
XIII. Sala dello Zodiaco
Il salone ospita il ciclo di affreschi attribuiti al pittore veronese Giovan Maria Falconetto, eseguiti intorno al 1510 circa. Falconetto ha dipinto una loggia classica, scandita da finti pilastri decorati a grottesche, oltre la quale campeggiano, in alto nel cielo, i segni zodiacali. Ogni arcata è dedicata ad un segno e, secondo un modello che si ripete, questo è accompagnato in primo piano o sullo sfondo da un mito, una leggenda o una pagina di storia romana e dal mestiere (legato al mese) a cui sono destinati i nati sotto quel segno. La Bilancia è stato coperta dal camino seicentesco sulla cui cappa è stato poi ricopiato il segno a ricordo. Inoltre in ogni arcata compare una o più architetture bizantine o romane: l'Arena di Verona (Ariete), il Colosseo in Roma (Cancro), il Mausaleo di Teodorico (Vergine), la Chiesa di San Vitale a Ravenna (Gemelli e Scorpione).
La sala dello Zodiaco o del Falconetto (il pittore e architetto Giovanni Maria Falconetto, Verona 1468 - Padova 1535), è il vertice artistico del Museo. Non si conosce né il nome dell'artista né del committente, né il tempo dei lavori né l'uso della sala. Il primo ad occuparsi di questi affreschi fu Corrado Ricci, che datò le pitture tra il 1525/30, eseguite da artisti influenzati da Lorenzo Costa il Vecchio e da Giulio Romano. Il primo studio organico sull'intero ciclo zodiacale è di Paola Moretta e risale al 1918 ed apparve sulla "Rivista d'Arte". La Moretta attribuiva anch'ella l'opera alla scuola di Lorenzo Costa il Vecchio. L'impresa di individuare il committente degli affreschi fu già affrontata anche da Ercolano Marani. Lo studioso mantovano, partendo dalle parole del Vasari, secondo il quale il Falconetto lavorava a Mantova per il signor Luigi Gonzaga concentrando la propria attenzione sul misterioso personaggio in abito nero e copricapo nero, con tre chiavi strette nella mano sinistra, appoggiato al pluteo del segno del Cancro, ipoteticamente propose dapprima il nome di Benedetto Tosabezzi, proprietario della casa. Quindi lo stesso Marani, scartato ragionevolmente il nome di Luigi Gonzaga della linea di Corrado, si dichiarò incline a ravvisare il Luigi Gonzaga citato dal Vasari in Luigi (o Luigi Alessandro) di Rodolfo Gonzaga, la cui dimora sorgeva tuttavia nella contrada del Grifone ed era costituita dal fabbricato che oggi ospita l'Archivio di Stato e dalla torre dei Gambulini. Luigi aveva ricevuto l'edificio in eredità dal padre Rodolfo e nel primo periodo della sua esistenza lo aveva eletto a sua residenza abituale, chiamando ad abbellirlo il pittore e architetto veronese Giovan Maria Falconetto. Oggi è invece universalmente condivisa almeno l'attribuzione dei dipinti al Falconetto proposta nel 1931 dal Fiocco, che datò l'opera attorno al 1520. Circa la datazione dei dipinti riteniamo di aver stabilito il “terminus post quem”, avendo osservato nel 1984 che due personaggi (uno nel Gemelli e l'altro nell'Acquario) sono stati tratti dall'incisione di Luca di Leida, "La conversione di san Paolo" del 1509. La sala misura misura m 9.70 x 15.40 x 6.30 e presenta le quattro pareti adorne dei segni zodiacali, uno su ciascuno dei lati brevi, cinque su entrambi quelli lunghi, così che i segni opposti si affrontano fra loro: ad Ariete si oppone Libra, a Toro Scorpione, a Gemelli Sagittario, a Cancro Capricorno, a Leone Acquario, a Vergine Pesci. Purtroppo la Libra è stata nascosta da un camino addossato alla parete forse nel XVII sec., ma la raffigurazione che decora la fronte della cappa, ripete probabilmente quella originaria perduta. Al soffitto a cassettoni lignei è ancora infisso il robusto anello di ferro che reggeva il perduto lampadario. Intorno, lungo le pareti, sono cassapanche di epoche diverse, e a destra del tavolo posto di fronte al camino assieme ad alcune sedie è un esempio seicentesco di cassaforte dal complicato meccanismo di chiusura. Aggiungiamo che al centro delle arcate la chiave di volta è costituita da una protome (gorgòneion, ossia una testa di Gorgone, con due serpentelli sporgenti sotto il collo, complicato di due ali, nell'Ariete, o affiancata da due uccelli; testa taurina; maschera teatrale virile comica; testa di Giove Ammone; aquila) che si ripete specularmente nel segno opposto. Inoltre alcuni motivi decorativi dei finti pilastri si ritrovano simili, ad esempio, a Verona, nel portale di via Carlo Cattaneo, 6. Affiancate da fantastiche figure teratomorfiche di grande interesse iconografico, adornano la fascia superiore sedici rappresentazioni desunte (tranne il primo, il dodicesimo e il quindicesimo) da miti ovidiani, seminate, come i sottostanti medaglioni dei Cesari corredati di epigrafi, di globuli di cera dorata. Le diverse immagini zodiacali, che trovano il modello diretto nell'affresco attribuito al Pinturicchio del palazzo di Domenico della Rovere a Roma (di cui rimangono pochi lacerti), sono state formulate secondo un criterio che si ripete in modo simile nei vari segni. Perlopiù in primo piano la rappresentazione delle diverse attività dei mesi e sullo sfondo un mito classico o una pagina di storia antica, e un'architettura di epoca romana o bizantina. A sinistra o a destra del segno, che campeggia sulle nubi del cielo sotto la chiave di volta delle arcate, un personaggio [Giove in Ariete, Toro, Gemelli, Leone, Vergine, Sagittario, Capricorno; Giunone in Cancro e Scorpione; Giove (?) in Pesci] sporge da sopra l'uno o l'altro dei capitelli per collocare l'animale o altra figura in cielo e farne segno astrale: particolare scomparso nella Libra e assente nell'Acquario, sostituito dal volo di Ganimede verso il cielo sull'aquila di Giove. Le raffigurazioni dei mesi dovettero essere desunte da quelle dei citati affreschi romani, la cui fonte letteraria, da noi individuata e ormai accettata, fu il romanzo bizantino del XII sec. di Eustathios (o Eumathios) Makrembolites, "Ismine e Isminia".
Il percorso di visita si conclude con il Museo di Scienze Naturali.
FUORI
percorso
Selleria
Salendo la ripida scala verso lo Zodiaco si incontra dapprima, in una nicchia a destra, un'anfora romana di età repubblicana ricomposta. A metà della rampa sullo stesso lato si apre una porta che permette di accedere al mezzanino, che accoglie la Selleria. L'ambiente presenta un basso soffitto voltato, ed era già attestato con il nome di Barca.
Nel vano sono collocate racchette ottocentesche per giocare a volano, una comoda per bambini, due cavallini giocatolo in legno e stoffa, alcune selle da donna e da uomo, bauli da viaggio, pettorali e guanti imbottiti per tirare di scherma, panoplie di fioretti, sciabole e spade e una serie di lame di ricambio. Fino al 1931 questo materiale era nella cameretta retrostante la sala del Bazzani. È inoltre presente una custodia in legno di un fucile appartenuto al conte Antonio. Sotto la finestra è stato collocato un basso tavolino con vari tipi di staffe e di sproni, e due custodie di coppie di pistole. Curioso è un bersaglio posto su supporto verticale con le immagini di Arlecchino (in alto) e ai lati di due soldati: a sinistra un bersagliere con cappello piumato e tricolore italiano, a destra soldato prussiano con pickelhaube e la bandiera bianca e nera della Prussia. Alla parete occidentale è una porticina che permette di accedere all'angusto camerino che accoglie gli stivaloni del cocchiere, bilancini per gli attacchi, sonagli e finimenti per i cavalli, fruste, bauli, stivali del conte Antonio e una cappelliera.
XX. Sala dei Cesari
La sala è così chiamata per le copie dei Cesari di Tiziano, eseguiti nel 1536 per il duca Federico II Gonzaga. Sono qui conservate interessanti raccolte: quella di vasi da farmacia, la collezione di arcolai in legno e l'antico erbario del Conte Luigi d'Arco (1795-1872). Sulla parete di fronte al camino è appeso l'albero genealogico della famiglia mantovana degli Agnelli.
La palazzina, dalla tipica struttura architettonica mantovana del tardo Quattrocento, presenta rade tracce di un'antica decorazione a catene intrecciate (emersa durante il restauro del 1982) sul paramento e lacerti di una cornice sottogronda con stemmi non più leggibili. Sull'arco d'ingresso è collocato uno stemma gonzaghesco in marmo. Oltre il cancello in ferro battuto, subito a destra è la Sala dei Cesari. L'ambiente, assolutamente privo di decorazioni pittoriche, presenta al suo interno un imponente camino cinquecentesco in marmo rosso, mentre le voltine del soffitto sono rette da capitelli pensili. Dal soffitto pende il lampadario in metallo a fogliami, risalente alla fine del Settecento. Il nome del vano deriva dalle undici tele dei Cesari appese su tre pareti, copie in formato minore di quelle commissionate nel 1536 a Tiziano da Federico II Gonzaga. Le tele, di non alta qualità, in origine erano probabilmente nella villa dell'Olmo Lungo dei Chieppio. Si ricordano anche le altre tele: un albero genealogico della famiglia Agnelli di Mantova; una Deposizione, bozzetto della tela di Alessandro Turchi detto l'Orbetto collocata nel coro del Duomo di Mantova; un San Carlo Borromeo e San Luigi Gonzaga in adorazione della Vergine con il Bambino (sullo sfondo presenta torri di un castello, forse quello di Castiglione delle Stiviere). Ai lati del grande armadio collocato alla parete est sono due terrecotte del mantovano Aldo Falchi: il classico busto di Mantegna e un bassorilievo con cavaliere nudo con lancia (1987). In questo ambiente sono anche conservati l'erbario generale d'Italia raccolto da Luigi d'Arco e dal collaboratore farmacista Giacinto Bianchi e l'erbario del Mantovano raccolto da Luigi d'Arco, recentemente restaurato dagli specialisti del Museo Civico di Storia Naturale di Milano nel 1996. Tra l'altro troviamo qui anche quattro tavolette ottagonali inserite in cornici marmorizzate e raffiguranti Santo Stefano, un Santo domenicano, Santa Lucia, l'Angelo custode. Sono da mettere in relazione con quelle analoghe conservate nel passetto dei reliquiari e nella sala del Bazzani. Resti della collezione archeologica sono le cinque anfore romane del I e II sec d.C.
XXI. Anticappella
La camera ospita arredi seicenteschi, dipinti a soggetto religioso e busti porta reliquie in legno argentato raffiguranti santi.
L'ambiente, spoglio di decorazioni, è semplicemente arricchito da un camino con lo stemma dei d'Arco (quindi qui collocato post 1872). Sopra la porta d'ingresso è presente una tela di scuola veneta del Cinquecento (forse cerchia di Rocco Marconi) raffigurante Cristo con l'adultera; a fianco è un'Adorazione dei Magi del pesarese Giovanni Venanzi (1627-1705), firmata e datata 1703. Sotto il dipinto è collocato un cassone dipinto. Ai lati dell'ingresso alla cappella sono due interessanti armadi: il primo accoglie busti-reliquari di santi in legno argentato. Appena sopra l'armadio sono un Cristo in paesaggio e una Madonna in paesaggio, della scuola tedesca di Hans Rotternhammer. Attribuito a Giambettino Cignaroli è il dipinto raffigurante la Madonna con Bambino, S. Giovanni evangelista ed un santo vescovo collocato al di sopra dell'ingresso alla cappella. Sul camino è posto un fregio ligneo del tardo Cinquecento. Notevole è, alla destra del camino, la tela con Cristo alla colonna forse appartenuta ai Chieppio. Alla stessa parete è addossato uno armadio sopra il quale vi sono altri due reliquiari lignei argentati. Il mobile è sovrastato da una tela ovale settecentesca raffigurante San Stanislao Koska riceve l'ostia consacrata da un angelo. Tra l'armadio e la porta si trova una seconda copia della Sacra Famiglia con santa Elisabetta e san Giovannino (l'altra copia presente nel palazzo si trova nella sala delle raffigurazioni sacre), tolto dall'originale di Raffaello di Capodimonte.
XXII. Cappella
Di fronte l'ingresso si trova la Madonna Vestita, una scultura lignea settecentesca dipinta e vestita con preziosi abiti. A destra l'altare in marmo policromo trentino.
L'ambiente è stato riadattato a cappella in tempi tutto sommato recenti, ma nonostante ciò questo è uno dei locali più suggestivi di tutto il palazzo. Il soffitto, voltato, è completamente bianco, così come le pareti. Per quanto riguarda gli arredi, appena entrati nella cappella, a sinistra, si trova una copia fatta dalla marchesa della Madonna del latte già attribuita a Bernardino Luini e collocata nella Sala dei Dipinti Sacri. L'altare, composto da diversi marmi, è del Seicento. Al di sopra è una Adorazione dei pastori di ambito veneto-cremonese del Cinquecento. Nell'ambiente sono anche due teche con abiti liturgici. Sono inoltre presenti una tela cinquecentesca raffigurante Ester e Assuero e, in una nicchia della parete occidentale, una statua settecentesca raffigurante la Madonna incoronata d'Arco proveniente dall'edificio prospiciente il palazzo, un tempo proprietà d'Arco, e qui collocata nel 1982. Accanto è l'accesso alla “sagrestia”. Alla destra della porta è una tela raffigurante San Francesco di Paola probabilmente appartenuta alla famiglia Chieppio. Sono infine presenti alcuni paliotti d'altare in cuoio.
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