
I DISEGNIa Palazzo
I Disegni
Ricchissima è la collezione di disegni del palazzo. Sono conservate circa 150 opere comprendenti anche composizioni di grandi maestri. Tra questi ricordiamo: Giulio Campi (Cremona 1507 ca.-1573), Angeli con i simboli della passione (studio per la volta del transetto di San Sigismondo in Cremona); Jacopo Negretti, detto Palma il Giovane (1548-1628), Mercurio e le tre Grazie, studi per le Grazie in piedi e sedute (recto) e studio per la caccia al toro (verso); Giovanni Mauro della Rovere detto il Fiamminghino (Milano 1475 ca.-1540 ca.), Santo francescano in piedi fra gli appestati, Santo francescano in gloria fra gli appestati (recto); due santi nel deserto (verso). Altre opere sono autografe o assegnate ad Aurelio Luini (Milano 1530 ca.-1593), Carlo Bononi, Carlo Antonio Procaccini (Bologna 1571-Milano 1630), Giacomo Cavedone (Sassuolo 1577-Bologna 1600), Johann Carl Loth (1632-1698). Un nucleo consistente di disegni è quello legato a Carlo d’Arco (Mantova 1799-1872), storico dell’arte e artista. Tra i suoi disegni molti sono accademici e raffigurano soggetti vari, soprattutto opere d’arte. Non è possibile concludere la sezione dei disegni senza citare i cinque rari disegni raffiguranti altrettante Stazioni della Via Crucis opera Giuseppe Bazzani (Mantova 1690-1769).
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Schizzi di teste e figure Aurelio Luini (Milano 1530 c.-1593) Penna e inchiostro marrone, manca l'angolo in alto a destra Mm. 228x152 Inv. 4770 |
Aurelio Luini era il figlio di Bernardino Luini, uno dei più importanti pittori del Rinascimento milanese. Con il fratello Giovan Pietro, Aurelio faceva parte del gruppo degli artisti che proseguivano il discorso della pittura nella Lombardia cinquecentesca; prima in contatto con la maniera elegante e complicata dell'Italia centrale e poi con la sua semplificazione, quest'ultima basata in parte su una ripresa dell'opera del vecchio Luini e di Leonardo da Vinci. Questo disegno, con l'altro foglio della Fondazione d'Arco, è incluso in quel gruppo per cui Giulio Bora ha suggerito la possibilità che tutti provenissero dallo stesso taccuino databile negli anni settanta del Cinquecento; gli altri schizzi sono agli Uffizi di Firenze (n. inv. 13458 F), al Museo Tylers di Haarlem (nn. inv. K173 e K31), al British Museum di Londra (nn. inv. Fawkener 5210.58 e Pp2.189.48) e nelle raccolte reali a Windsor Castle (n. inv. 4075). Nonostante il fatto che, in addizione agli schizzi di teste e figure, sia rappresentata in alto sulla sinistra del foglio la scena di un banchetto, è impossibile mettere questa composizione in rapporto con un dipinto di Aurelio Luini. Tutti questi disegni andrebbero considerati, quindi, come esercizi liberi.
Nancy Ward Neilson
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Studio di teste e panneggi Aurelio Luini (Milano 1530 c.-1593) Penna e inchiostro marrone, gessetto rosso e nero; Iscrizioni: in basso a inchiostro marrone: Aurelio Luino Mm. 330x210 Inv. 4789 |
Aurelio Luini era il figlio di Bernardino Luini, uno dei più importanti pittori del Rinascimento milanese. Con il fratello Giovan Pietro, Aurelio faceva parte del gruppo degli artisti che proseguivano il discorso della pittura nella Lombardia cinquecentesca; prima in contatto con la maniera elegante e complicata dell'Italia centrale e poi con la sua semplificazione, quest'ultima basata in parte su una ripresa dell'opera del vecchio Luini e di Leonardo da Vinci. Il disegno della Fondazione d'Arco è giustamente famoso e fa parte di un gruppo in cui anche l'altro foglio della Fondazione è incluso. Sono tutti schizzi rapidi e multiformi teste, panneggi, gruppi di figure - che hanno analogie con disegni di altri pittori attivi verso la fine del Cinquecento fra i quali Ambrogio Figino (Milano 1548-1608). Come è stato spesso notato, l'ispirazione per questo tipo di disegno è da ricondurre all'opera di Leonardo da Vinci. Questo interesse nella seconda metà del Cinquecento milanese va visto nel ritorno all'arte del Rinascimento, in parte voluto da San Carlo Borromeo che premeva per uno stile di comunicazione chiaro e diretto, senza complicazioni manieristiche. In questo contesto, Leonardo fu, naturalmente, la guida per i pittori milanesi ed Aurelio Luini fu in una posizione di privilegio perchè possedeva disegni raffiguranti Teste grottesche del maestro fiorentino eseguiti con gesso rosso. Ed è da notare che la testa in basso sulla sinistra del nostro disegno è descritta con la stessa tecnica.
Nancy Ward Neilson
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Angeli con i simboli della passione Giulio Campi (Cremona 1507 c.-1573) Penna e inchiostro bruno, carta cerulea Mm. 169x174 Inv. 4760 |
Al centro della volta del transetto della chiesa di San Sigismondo a Cremona, dove dal 1539 al 1542 Giulio Campi lavora con Camillo Boccaccino, compaiono tre finti cassettoni ottagonali. Si conoscono disegni del Campi per i tre ottagoni (Digione, Musée des Beaux - Arts; Mantova, Fondazione d'Arco; Praga Galleria Nazionale). Disegni interessanti per un confronto con quelli di Camillo Boccaccino per l'ottagono del presbiterio della volta di San Sigismondo (Oxford, Ashmolean Museum, Inv. 117; Firenze Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe, Inv. 13851 E; Bergamo Accademia Carrara, Inv. 877), un motivo che Giulio Campi ha ripreso da un disegno di Digione (Musée des Beaux-Arts, Inv. 797) rappresentante gli angeli che portano la croce. Dapprima attribuito dal Bora a Camillo Boccaccino prima che Pouncey lo restituisse al Campi, cosa che fa intendere che egli sia l'autore della prima idea del modello definitivo. Tuttavia i disegni di Boccaccino, a matita nera o rossa con la leggerezza di un tratto delicato, sono differenti da quelli di Giulio Campi, più vigorosi e "contrastanti". Sul recto del disegno di Praga Giulio Campi abbozza diversi angeli in volo e per ben due volte il campo "ottaedrico" mostra gli angeli con la lancia, la corona, la frusta, i chiodi e l'insegna con la scritta INRI. Si tratta di un primo approccio di un tema ripreso nel disegno della fondazione d'Arco dove l'inclinazione verso la parte posteriore dell'angelo che porta l'insegna, conferisce spazio e profondità e libertà di azione delle figure. In questi due disegni l'uso dei tratteggi paralleli e incrociati conferisce loro una spiccata plasticità. Il Louvre conserva il "modello" definitivo per l'ottagono (Inv. 10193). Lo stile forte di Giulio in questi studi richiama evidentemente gli esempi del Pordenone, della cappella della Concezione nella chiesa di San Francesco a Cortemaggiore, di cui l'illusionismo dinamico delle figure, ancorchè la disposizione grandiosa dello spazio, devono averlo decisamente impressionato. Questa influenza unita a quella dei grandi maestri emiliani (Correggio e Parmigianino), di Giulio Romano a Mantova e reminiscenze da modelli raffaelleschi presi da Marcantonio Raimondi, è integrata con originalità da Giulio Campi in uno stile espressivo e forte, una "maniera" decorativa piena di grazia e virtuosismo.
Silvie Béguin
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Testa femminile rivolta a destra Giacomo Cavedone (attribuito a) (Sassuolo 1577-Bologna 1600) Gessetto nero e bianco, biacca, carta marrone, incollato su cartoncino Mm. 242x186 Inv. 4834 |
Il foglio genericamente riferito ad "Autore anonimo" nell'inventario dattiloscritto, 1973, presso la Fondazione d'Arco di Mantova, va senz'altro situato in area emiliana, e un riferimento alla grafica del Cavedone non è del tutto da scartare. La tecnica del disegno, dal segno incisivo del gessetto e dai contrasti chiaroscurali derivanti dall'abbondante dosatura della biacca su carta preparata collima ad esempio con ben noti disegni del Cavedone: dalla Santa Chiara di Londra (Victoria and Albert Museum; Inv. 298, già sotto il nome del Domenichino; alla Adorazione dei pastori di Oxford (Christ Church Picture Gallery; Inv. 977, già Ciro Ferri, giustamente restituito al Cavedone dal Popham) e più da vicino alla testa di giovane donna con turbante di Windsor Castle (Royal Library, Inv. 5268). Stessa la collocazione spaziale, stesso il trattamento della dosatura della biacca e del gessetto nero a linee parallele, stessa la struttura neocinquecentesca della testa, rivolta leggermente in basso a sinistra nel foglio di Windsor, in alto a destra in quello in esame.
Nancy Ward Neilson
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Santo francescano in piedi fra gli appestati; Santo francescano in gloria fra gli appestati (recto) Due santi nel deserto (verso) Giovanni Mauro Della Rovere detto il Fiammenghino (Milano 1575 c.-1540 e.) Penna e inchiostro marrone, aquerello marrone, mancano gli angoli in alto e in basso a sinistra Mm. 181x232 Inv. 4778 |
Il recto di questo disegno raffigura due proposte per un quadro, probabilmente una pala d'altare, di un frate francescano in un lazzaretto. Quella sulla sinistra è più semplice, con il santo in piedi fra gli ammalati, mentre la composizione sulla destra del foglio rappresenta il frate in gloria con gli angeli che portano ben tre corone sopra la sua testa. Il verso del disegno, uno schizzo rapidissimo, è probabilmente collegato al tema della peste, con l'angelo che scocca una freccia ad una delle due figure. I santi associati con la peste sono, per tradizione, Rocco e Sebastiano e, naturalmente nella Lombardia, San Carlo Borromeo, ma è difficile identificare il francescano rappresentato in questo disegno. Con il fratello Giovanni Battista, Giovanni Mauro era uno dei pittori più attivi del primo Seicento lombardo. Infatti, le opere dei due artisti si trovano sparse per tutto il ducato che allora comprendeva anche il Piemonte orientale dove anche hanno operato; ne sono conferma, per esempio, gli affreschi al Sacro Monte di Orta. L’attribuzione del foglio a Giovanni Mauro Della Rovere si basa sul confronto di due opere: una identificabile nel disegno al Castello Sforzesco di Mlano che raffigura San Nicola di Tolentino?, preparatorio per un affresco documentato fra il 1621 e 1625 in San Marco a Milano, dove la posa del santo è molto simile a quella del francescano in gloria nel disegno di Mantova. L’altra costituita dalla figura di San Francesco nel quadro di Giovanni Mauro, Le tentazioni di San Francesco, in deposito da Brera nella chiesa parrocchiale di Boffalora, quest'ultima figura richiama, appunto, quella quasi giacente sul terreno rappresentata sul verso del foglio.
Nancy Ward Neilson
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Testa di putto rivolta in alto a destra Carlo Bononi (attribuito a) (Ferrara 1569-1632) Gessetto nero, tracce di gessetto bianco, carta beige Mm. 119x127 Inv. 4802 |
Questo delicato disegno riferito genericamente ad "Artista anonimo" (vedi l'inventarlo dattiloscritto datato 1973 della Fondazione d'Arco), va collocato piuttosto in area emiliana e in direzione del ferrarese Carlo Bononi. Difficile se considerarlo frammento di una composizione più ampia in quanto non è stato ancora possibile stabilire un riferimento ad un dipinto. Un accostamento ai modi del Bononi è avanzato pertanto per via stilistica: nella produzione grafica del maestro ferrarese, studiata soprattuto dallo Schleier troviamo disegni sia a penna ed acquerello, sia e in maggior misura a gessetto nero su carta beige con leggeri tocchi di biacca, che quasi accarezzano le figure, come nel nostro foglio (forse la testa di un angiolino sulle nuvole?). La tecnica del foglio è simile a quella del San Bartolomeo reso noto dallo Schleier riferito all'omonima figura al centro del dipinto con la Madonna di Loreto e SS. Giovanni Evangelista, Bartolomeo e Giacomo Maggiore di Tolosa (Musée des Augustins, Inv. M.A.351).
Nancy Ward Neilson
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Schizzi di un paesaggio, di san Francesco e l’angelo, l’angelo e un dannato, angeli Carlo Antonio Procaccini (Bologna 1571-Milano 1630) Penna e inchiostro marrone, manca la parte del disegno in alto a sinistra Iscrizioni: a in inchiostro marrone in basso a destra: Carlo Antonio Procaccino Mm. 330x191 (misura massima) Inv. 4759 |
Questo disegno fu presentato da Alessandro Morandotti in una conferenza intitolata "Carlo Antonio Procaccini alla rincorsa dei maestri fiamminghi" tenuta al Museo Civico di Varese l'8 novembre 1997. In quell'occasione, lo studioso aveva rilevato il rapporto fra la fìgura di San Francesco e quella rappresentata in un piccolo quadro appartenente ad una raccolta privata torinese, raffigurante San Francesco cbe riceve le Stigmate. E’ da notare che il foglio della Fondazione d'Arco è fra i pochi disegni finora identificati di Carlo Antonio. Carlo Antonio Procaccini era il fratello dei ben più famosi Camillo e Giulio Cesare, nati come lui in Emilia, e tutti attivi a Milano nei primi tre decenni del Seicento. Nella vecchia letteratura artistica, Carlo Antonio è descritto come pittore specialista in nature morte e paesaggi proprio "alla fiamminga", un gusto milanese dell'inizio del Seicento. In alcune di queste opere, come nel disegno in rapporto con il quadrone di San Carlo, il Procaccini si dimostra seguace di Camillo; infatti, le piccole figure nei suoi paesaggi sono spesso prese dalle invenzioni del fratello maggiore.
Nancy Ward Neilson
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Mercurio e le tre Grazie (recto) Studi per le Grazie in piedi e sedute (una studiata separatamente), studio per la Caccia al toro (verso) Jacopo Negretti detto Palma il Giovane (1548-1628) Penna, inchiostro e acquerello bruno, tracce di matita rossa (recto); penna e inchiostro bruno, tracce di matita rossa (verso); carta bianca. Iscrizioni: "1611", autografa, a penna e inchiostro, in alto sul recto (parzialmente tagliata); "G. P. n°: 114" a penna e inchiostro, sul verso Mm 379x260 Inv. 4782-4783 |
Questo disegno, datato 1611 e appartenente, come diversi altri del Palma (recanti la sigla "G. P." seguita da un numero), ad uno degli album provenienti dalla collezione veneziana Sagredo, venne pubblicato da Stefania Mason Rinaldi (1979), su segnalazione di Mario Di Giampaolo, che lo aveva riconosciuto come studio preparatorio per il dipinto di collezione privata svizzera raffigurante Mercurio e le Grazie, esposto alla mostra di Pfäffikon-Ginevra nel 1978. Successivamente (1984 e 1990), la studiosa è tornata sull'argomento, evidenziando come gli schizzi sul verso del foglio mantovano, relativi al gruppo delle tre Grazie, dapprima studiate in piedi, poi sedute, in posizioni molto simili a quelle riproposte nel quadro svizzero, costituiscano il primo momento del processo creativo su questo tema classico, trattato dal Palma anche nel dipinto dell'Accademia di San Luca di Roma. L’idea delle tre dee sedute è poi sviluppata, con l'aggiunta di Mercurio loro "scorta e duce per mostrare la ragione e il sano discorso" (Cartari), nel disegno più finito e acquerellato sul recto del nostro foglio e in quello del Kupferstichkabinett di Dresda; la stessa composizione compare anche nel bel disegno di Windsor che, però, dato l'uso di lumeggiature d'oro e della carta preparata verde, è stato presumibilmente eseguito come opera autonoma destinata al collezionismo. A questo gruppo sono pure assocíabili il foglio n. 6 del Libro di Oxford, dove sono studiate soltanto due dee sedute, e quello n. 5a del Libro Zanetti-Correr, preparatorio, anche se con alcune varianti, per il citato quadro dell'Accademia di San Luca, privo della figura di Mercurio. La contemporaneità di queste elaborazioni grafiche è confermata dalle sostanziali ed evidenti analogie stilistiche, riscontrabili nel medesimo tipo di tratteggio fittamente incrociato per indicare le ombre e nello stesso modo di delineare i contorni con un segno ondulato e continuo. Nella composizione più accuratamente realizzata del recto, la stesura a macchia delle acquerellature entro i confini del segno a penna - in tutto analoga a quella utilizzata dall'artista in altri disegni dello stesso momento (si veda per esempio il foglio dell'Ecole des Beaux-Arts di Parigi, inv. 214, datato 1611)- conferisce compattezza alle forme e, qui soprattutto, prefigura la resa pittorica dei corpi lisci e rosati delle dee. Il soggetto affrontato dal Palma in questo gruppo di opere grafiche e pittoriche non è molto frequente in ambito veneziano.
Elisabetta Saccomani
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Giovane donna inginocchiata, in preghiera Astolfo Petrazzi (attribuito a) (Siena 1579–1665) Matita nera, tracce di gessetto bianco, carta beige, incollato su cartoncino Mm. 260x178 Inv. 4773 |
Questo foglio (n. inv. 4773), il n. inv. 4779 e il n. inv. 4680 appartengono alla stessa mano. Il disegno è da situare in ambiente senese, come ci suggerisce Alessandro Bagnoli e, in via indipendente, Anna Forlani Tempesti. Il Bagnoli si è espresso a favore di Astolfo Petrazzi, la cui attività grafica è stata ricostruita dal Pouncey in un saggio ormai classico (1971). Il modo di trattare il panneggio con segno morbido e fluente, nonché la tipologia facciale è comune ad altri fogli del maestro senese, in particolare al San Giuseppe in gloria della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena, mentre un riscontro pittorico va ricercato sia nella Vergine Assunta databile sul 1639, alla Cancelleria di Biccherna (oggi sala della Giunta) a Siena, sia, più da vicino, nella Santa Lucia della chiesa di Sant'Agostino (Cappella Piccolomini) a Siena. La tecnica qui usata si discosta un po' dagli esempi ben noti del Petrazzi resi noti dal Pouncey ma lo stile di questo foglio non esclude l'influenza esercitata sul maestro dalla generazione dei Casolani, dei Vanni e dei Salimbeni, barocceschi senesi, esponenti della cultura figurativa della fine del Cinquecento a Siena.
Nancy Ward Neilson
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Tre figure virili stanti Astolfo Petrazzi (attribuito a) (Siena 1579-1665) Matita nera, tracce di gessetto bianco, carta beige, incollato su cartoncino Mm. 214x299 Inv. 4680 |
Questo foglio (n. inv. 4680), il n. inv. 4773 e il n. inv. 4779 appartengono alla stessa mano. Stessa la tecnica di esecuzione, stessa la carta preparata di colore beige, stesso il modo di condurre la matita nera; si tratta molto probabilmente di rapidi appunti grafici relativi alla definizione di una singola figura, vestita e vista di spalle a sinistra, nuda nelle due varianti a destra (al centro in atto di camminare verso destra, a destra appoggiata ad un piano appena accennato). La collocazione del foglio nell'ambito di Astolfo Petrazzi è giustificata dal confronto con alcuni disegni del maestro senese pubblicati dal Pouncey (1971) anche se realizzati con tecnica diversa.
Nancy Ward Neilson
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Giovane donna inginocchiata, in preghiera Astolfo Petrazzi (attribuito a) (Siena 1579–1665) Matita nera, tracce di gessetto bianco, carta beige, incollato su cartoncino Mm. 260x178 Inv. 4773 |
Questo foglio (n. inv. 4773), il n. inv. 4779 e il n. inv. 4680 appartengono alla stessa mano. Il disegno è da situare in ambiente senese, come ci suggerisce Alessandro Bagnoli e, in via indipendente, Anna Forlani Tempesti. Il Bagnoli si è espresso a favore di Astolfo Petrazzi, la cui attività grafica è stata ricostruita dal Pouncey in un saggio ormai classico (1971). Il modo di trattare il panneggio con segno morbido e fluente, nonché la tipologia facciale è comune ad altri fogli del maestro senese, in particolare al San Giuseppe in gloria della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena, mentre un riscontro pittorico va ricercato sia nella Vergine Assunta databile sul 1639, alla Cancelleria di Biccherna (oggi sala della Giunta) a Siena, sia, più da vicino, nella Santa Lucia della chiesa di Sant'Agostino (Cappella Piccolomini) a Siena. La tecnica qui usata si discosta un po' dagli esempi ben noti del Petrazzi resi noti dal Pouncey ma lo stile di questo foglio non esclude l'influenza esercitata sul maestro dalla generazione dei Casolani, dei Vanni e dei Salimbeni, barocceschi senesi, esponenti della cultura figurativa della fine del Cinquecento a Siena.
Nancy Ward Neilson
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Testa di donna rivolta in alto a destra Francesco Gessi (attribuito a) (Bologna 1588-1649) Matita rossa, tracce di gessetto bianco, carta rosata Mm. 123x123 Inv. 4766 |
Giustamente schedato come di "Autore di Scuola emiliana" (vedi inventario dattiloscritto 1973, presso la Fondazione d'Arco di Mantova) va piuttosto collocato in area reniana come suggerito da Annamaria Petrioli Tofani, e indipendentemente, da Giovanni Agosti (com. orale, luglio 1999). La struttura del volto, dal capelli ordinatamente raccolti, denota altresì la conoscenza della statuaria classica; la testa, rivolta in alto a destra, con atteggiamento assorto può ben riferirsi a quella di una delle numerose "Madonne assunte" che Reni dipinse per le chiese di Bologna e del contado, come quella della parrocchiale della Pieve di Cento o della chiesa di San Biagio in San Girolamo di Forlì di cui esistono, per la testa della Madonna un disegno agli Uffizi (Inv. 1577 F); e una a Windsor Castle (Royal Library Inv. 3299). Una proposta a favore di Francesco Gessi, allievo di Guido Reni, ci sembra attualmente la più ragionevole se rapportata all' Assunta di Lione (Musée des Beaux Arts) attribuito convincentemente al Gessi dal Roli (1958).
Nancy Ward Neilson
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San Sebastiano e un angelo (recto) Studi per un angelo, San Sebastiano e altre figure (verso) Johann Carl Loth (1632-1698) Matita nera, pennello e biacca (recto); matita nera (verso), carta bigia grezza; angoli superiore sinistro e inferiore sinistro mancanti Mm. 428x276 Inv. 4848 |
Il disegno del recto copia in modo puntuale la scena affrescata nel 1558 da Paolo Veronese a metà della navata di San Sebastiano a Venezia; sul vario sono leggibili alcuni schizzi a matita, fra i quali si riconosce, oltre ad un altro studio per la figura del santo martire appoggiato alla colonna, l'angelo annunciante dipinto sempre dal Caliari sul pennacchio sinistro dell'arco trionfale della stessa chiesa veneziana. La singolare cifra stilistica, caratterizzata da un largo impiego di biacca, consente di attribuire l'inedito disegno a Carl Loth. Formatosi in patria presso il padre, l'artista bavarese dalla metà circa del sesto decennio del Seicento è a Venezia, dove conquista presto una posizione di spicco in seno alla corrente dei "tenebrosi", pittori che prediligono un approccio diretto alla realtà, anche negli aspetti meno gradevoli, giovandosi di una luce radente che sbalza le forme con drammatici contrasti chiaroscurali. L’abile regia luministica dei dipinti di Loth trova un corrispettivo nelle intense lumeggiature delle prove grafiche, che fanno emergere dal fondo i volumi plastici con effetti quasi di allucinate visioni spettrali. Il torso leggermente in tralice, ruotato rispetto al capo e nel contempo reclinato su un fianco, ricorre frequentemente come modulo formale nella produzione pittorica di Loth, sebbene ridotto spesso a una ripresa di tre quarti: ciò consente all'artista di portare in primo piano la figura senza saturare il campo visivo impostando una direttrice diagonale in profondità. L’autore adotta tale soluzione anche in relazione al tema di san Sebastiano. L’attenzione per Paolo Veronese, documentata dal foglio mantovano, contribuisce a spiegare l'evoluzione da un linguaggio teso e crudo a nessi più allentati e alla ricerca di
un espressività più gradevole, riscontrabili nell'arte di Loth a partire dall'ottavo decennio del secolo. Tale carattere potrebbe suggerire per il disegno in esame una cauta datazione all'attività matura dell'artista, quando il rinnovato interesse per la pittura del maestro cinquecentesco si inserisce sulla scia delle novità cortonesche importate in laguna da Giovanni Coli (1636-1681) e Filippo Gherardi (1643-1717).
Elisabetta Saccomani
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Testa virile, rivolta verso sinistra Artista Veneto Secolo XVII Matita nera e gesso bianco, carta azzurra controfondata; angolo superiore destro mancante, taglio orizzontale della carta (incollato) nella metà superiore, da sinistra al centro Mm 192x130 Inv. 4774 |
La testa qui esposta (n. inv. 4774), insieme al n. inv. 4775, va insieme ad una terza n. inv. 4771, identica di mano, tecnica e supporto. L’effetto di naturalistico pittoricismo che sortisce dal rapporto tra la pastosità del segno a gesso nero, i brevi tocchi di bianco e il colore della carta suggerisce una collocazione di questi disegni in ambito veneto seicentesco. L’aria strozzesca - ma anche vagamente vandyckiana- che connota soprattutto la seconda testa, velata di patetismo (è probabilmente lo studio per un santo) e caratterizzata da un uso libero e morbido del medium grafico, nonché da una certa sensibilità nella resa della superficie, e la naturalistica incisività dei tratti fisionomia dell'altra testa (preparatoria per un ritratto?) più precisamente indirizzano verso l'ambiente artistico veneziano dei decenni centrali del secolo, vitalizzato e rinnovato in senso moderno dall'arrivo di pittori “foresti”, quali Fetti, Liss, Renieri e, appunto, Strozzi. L’incompatibilità stilistica dei fogli in esame con l'opera grafica dei pittori più noti (Della Vecchia, Maffei, Liberi o Langetti) e la lacunosa e alquanto incerta conoscenza che si ha della produzione disegnativa di altri maestri minori (come, per esempio, Daniel van den Dyck) attivi nella città lagunare in quegli anni impediscono, per il momento, di giungere ad una precisa attribuzione.
Elisabetta Saccomani
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Testa virile, rivolta verso sinistra Artista Veneto Secolo XVII Matita nera e gesso bianco, carta azzurra; i quattro angoli tagliati; lacune della carta e strappo sul margine superiore Iscrizioni: "22" a penna e inchiostro sul verso Mm 165x119 Inv. 4775 |
La testa qui esposta, insieme al n. inv. 4774, va insieme ad una terza n. inv. 4771, identica di mano, tecnica e supporto. L’effetto di naturalistico pittoricismo che sortisce dal rapporto tra la pastosità del segno a gesso nero, i brevi tocchi di bianco e il colore della carta suggerisce una collocazione di questi disegni in ambito veneto seicentesco. L’aria strozzesca - ma anche vagamente vandyckiana- che connota soprattutto la seconda testa, velata di patetismo (è probabilmente lo studio per un santo) e caratterizzata da un uso libero e morbido del medium grafico, nonché da una certa sensibilità nella resa della superficie, e la naturalistica incisività dei tratti fisionomia dell'altra testa (preparatoria per un ritratto?) più precisamente indirizzano verso l'ambiente artistico veneziano dei decenni centrali del secolo, vitalizzato e rinnovato in senso moderno dall'arrivo di pittori “foresti”, quali Fetti, Liss, Renieri e, appunto, Strozzi. L’incompatibilità stilistica dei fogli in esame con l'opera grafica dei pittori più noti (Della Vecchia, Maffei, Liberi o Langetti) e la lacunosa e alquanto incerta conoscenza che si ha della produzione disegnativa di altri maestri minori (come, per esempio, Daniel van den Dyck) attivi nella città lagunare in quegli anni impediscono, per il momento, di giungere ad una precisa attribuzione.
Elisabetta Saccomani
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Dio Padre appare a Sant’Antonio col Bambino, Angeli (recto) San Francesco (verso) Paolo Pagani (Castello Valsolda 1665-Milano 1716) Penna e inchiostro, acquerello violetto (recto; idem verso) Iscrizioni: lungo il margine inferiore si legge "Schizzo del disegno mandato in Spagna per la maestà della Regina / per ordine del S. Senator Pagani adi 29 marzo 1700 die lunedì / Paolo Pagani" Mm. 402x223 Inv. 4842 |
Secondo le iscrizioni sul verso il disegno è un "ricordo" di quello che fu inviato il 29 marzo 1700 alla Regina di Spagna, Marianna di Neuburg, che aveva commissionato a Pagani due dipinti per la Chiesa dei Cappuccini di Chiusa val d'Isarco (Bolzano) per celebrare il suo confessore, il padre cappuccino Gabriele da Pontifer. Il dipinto, già collocato sull'altare a destra nella chiesa è attualmente conservato nel locale museo e presenta varianti rispetto al disegno della Fondazione d'Arco con, sul recto, tutto l'insieme e, sul verso, una proposta diversa per il San Francesco. Un disegno del Musée des Beaux-Arts di Poitiers, datato gennaio 1702, presenta una nuova versione in controparte per il Sant'Antonio col Bambino, più vicina alla soluzione definitiva, sottoposto all'approvazione del marchese Cesare Pagani, il "Senator Pagani" ricordato nella versione della Fondazione d'Arco, legato diplomatico alla corte del Palatinato, promotore e intermediario della commissione del dipinto, da parte della regina. Il disegno della Fondazione d'Arco e quello del Musée des Beaux-Arts di Poitiers, sono gli unici conosciuti relativi a quest'opera. Nel dipinto, il San Francesco è descritto in piedi, le braccia incrociate sul petto, dietro Sant'Antonio: tuttavia l'insieme della composizione, e il ritmo vorticoso degli angeli in volo con Dio Padre, è già perfettamente manifesto nel foglio della Fondazione d'Arco. La vivacità della grafia, l'acquerello violaceo che sottolinea effetti luministici, sono tipici della maniera del Pagani dei disegni della sua maturità, uno stile definito "dolcemente lento e danzante". Questo disegno, assieme a quello di Poitiers è uno dei rari che ci sono pervenuti, in rapporto ad un opera datata e documentata, atti a caratterizzare lo stile del Pagani in un momento ben preciso della sua evoluzione stilistica.
Elisabetta Saccomani
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Bacco e Arianna Artista Emiliano Secolo XVIII Matita nera, gesso bianco, incorniciato entro ovale a matita nera, carta bigia controfondata Mm 368x240 Inv. 4781 |
Il disegno mostra Bacco, riconoscibile dal serto di pampini e dal tirso impugnato con la sinistra, in atto di collocare sul capo di Arianna una corona di stelle: secondo quanto narrato da Ovidio nelle Metamorfosi (VIII, vv. 176-182), Dioniso trasformò in costellazione la corona di gemme della figlia del re Minosse, affinché rimanesse di lei perenne e luminosa memoria fra gli astri. La felice conclusione della vicenda d'amore, con il carattere eziologico e il catasterismo finale, rendeva il soggetto particolarmente adatto a essere interpretato come allegoria nuziale ed è probabile che anche il disegno qui esposto fosse legato ad un'analoga circostanza. Sembra suggerirlo pure il putto in basso, recante un fascio di maggiorana, pianta beneaugurante negli sponsali. La generale ripresa scorciata dell'impianto compositivo induce a considerare il foglio quale lavoro preparatorio per una decorazione soffittale, che, però, non si è potuto identificare. Molto caro alla sensibilità settecentesca per la velata componente erotica sottesa, il tema è stato interpretato dall'autore con grazia arcadica, risolvendo la scena in una struttura a chiasmo, che significativamente trova il suo centro geometrico nella protagonista femminile. L’adozione di tipologie regolari e tondeggianti, le forme morbide e levigate suggeriscono di assegnare il disegno ad un artista della prima metà del Settecento, quantomeno di formazione - se non di nascita - emiliana (non si esclude, infatti, una possibile origine dall'entroterra veneto), i cui esiti stilistici rivelano tangenze con i modi di pittori come Marcantonio Franceschini (1648-1729) o Francesco Monti (1685-1768), al quale rimanda anche l'uso insistito delle lumeggiature: si vedano ad esempio, per il primo, il disegno del Prado ED. 1.574 - preparatorio per uno dei soffitti di palazzo Liechtenstein a Vienna -, per il secondo, il foglio dello stesso Museo ED. 1.126, raffigurante la Vergine con il Bambino e santi Carlo Borromeo e Ignazio di Loyola. Tuttavia, la rigidità nella resa delle ombreggiature con schematici tratti paralleli e l'anatomia piuttosto impacciata degli arti lasciano intravvedere la mano di una personalità meno dotata, per il momento non identificabile con maggior precisione.
Elisabetta Saccomani
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Cristo che porta la croce Giuseppe Bazzani (Mantova 1690-1769) Iscrizioni: a inchiostro marrone in basso a sinistra: 1747 Gessetto rosso; foderato Mm. 373x322 Inv. 4843 |
Giuseppe Bazzani passò tutta la vita a Mantova e la sua arte si basò sia sulla ricca tradizione mantovana di Pietro Paolo Rubens, Domenico Fetti e Giovanni Benedetto Castiglione che sulla pittura contemporanea del Veneto, da Antonio Balestra a Federico Bencovich e ai fratelli Guardi, Gian Antonio e Francesco. Questo disegno, che illustra Cristo che porta la croce, è il primo di una serie di cinque fogli, tutti custoditi alla Fondazione d'Arco e raffiguranti scene della Via crucis. Le rappresentazioni del cammino percorso da Cristo cominciarono nelle commedie religiose nel Medio Evo sotto l'ispirazione della devozione francescana. All'inizio, le scene erano sette; poi, intorno al 1700, e in modo particolare, con le prediche del francescano San Leonardo di Porto Maurizio (1676 - 1751), le stazioni furono aumentate fino a quattordici. Presumibilmente, il Bazzani aveva l'intenzione di illustrare tutte le quattordici scene, ma non si conoscono altri fogli della Via crucis oltre quelli della Fondazione d'Arco e non si conoscono dipinti finiti che possano essere messi in rapporto con questi disegni. E’interessante confrontare i disegni del Bazzani con i dipinti della Via crucis eseguiti da Federico Ferrario (Milano? c. 1714 - 1802) per la chiesa francescana distrutta, Santa Maria del Giardino, ed ora in San Simpliciano a Milano. Notevole è la corrispondenza fra il Cristo che porta la croce e il Cristo davanti alla Madre nelle due versioni, sia quella del Bazzani che quella del Ferrario, ma allo stato attuale degli studi, è impossibile dire se Federico, più giovane di quasi una generazione, avesse avuto modo di conoscere l'opera del pittore mantovano.
Nancy Ward Neilson
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Cristo aiutato dal Cireneo Giuseppe Bazzani (Mantova 1690-1769) Iscrizioni: a inchiostro marrone in basso a sinistra: 1747 Gessetto rosso; foderato Mm. 375x322 Inv. 4847 |
Questo foglio illustra la quinta stazione, Cristo aiutato dal Cireneo. Conosciamo pochi disegni di Giuseppe Bazzani; infatti, persino facendo conto dei cinque fogli alla Fondazione d'Arco, sono sempre meno di una ventina i fogli che possono essere attribuiti all'artista. Tale situazione non va intesa come una perdita enome del suo corpus grafico, ma piuttosto indica il Bazzani come uno di quei pittori che s'interessa maggiormente a problemi di luce e colore che a questioni di definizioni formali e lineari. Tutti i cinque disegni della Fondazione D'Arco sono foderati a fasce campite con gessetto rosso, identico al gessetto usato sui fogli,sono disposte a chiusura in alto e in basso sulla carta di supporto. Sembra che questo intervento sia coevo ai disegni. Queste finiture sottolineano un aspetto particolare, ovvero, quello di assimilare i disegni a dipinti monocromi, al punto di far loro acquistare il carattere di opere concepite fine a se stesse.
Nancy Ward Neilson
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Cristo che incontra la Madre Giuseppe Bazzani (Mantova 1690-1769) Gessetto rosso; foderato Iscrizioni: a inchiostro marrone in basso a sinistra: 1747 Mm. 367x322 Inv. 4846 |
Dopo il Cristo cbe porta la croce, la seconda stazione, viene questo disegno che raffigura la quarta stazione, Cristo che incontra la Madre.
Tutti questi disegni recano la data del 1747 e, se questa cifra è difatto quella dell'esecuzione, la serie va collocata ad un punto chiave nella carriera di Giuseppe Bazzani. In modo particolare, la composizione del Cristo che incontra la Madre è, come scrisse Flavio Caroli, "sempre più motivata dinamicamente e avvolta di chiaroscuri atmosferici". Tali caratteri stilistici sono tipici della pittura del Bazzani verso la metà del secolo ed è da notare il rapporto fra il disegno di Mantova e un suo dipinto, che raffigura sempre lo stesso soggetto, databile intorno al 1750 che è nelle raccolte del Kunsthalle di Brema.
Nancy Ward Neilson
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Composizione sacra Pietro Roselli (notizie dal 1725 al 1771) Penna e inchiostro bruno su traccia a matita nera, carta bianca controfondata Iscrizione: in basso a destra, a penna "Tiepoli" Mm 162x106 Inv. 4761 |
Evidentemente concepito come primo abbozzo per una pala d'altare, lo schizzo non consente un immediato riconoscimento dei personaggi raffigurati per la mancanza di attributi ben individuabili: l'angelo in primo piano con la foglia di palma allude alla presenza di un martire, forse il santo che appare in gloria tra le nubi. La struttura della composizione e la verve disegnativa orientano con sicurezza verso l'area veneziana, quantunque non sia stato posssibile individuare un dipinto in rapporto con il disegno. Tale direzione di ricerca è confermata dalla scritta antica, tardo-settecentesca, che riferisce il foglio a "Tiepoli": esclusi Giambattista e Giandomenico, il disegno non sembra riferibile neppure ad alcuno dei tiepoleschi di più stretta osservanza, come Francesco Lorenzi, Giustino Menescardi o Francesco Zugno, la fisionomia dei quali è stata ormai definita in maniera abbastanza soddisfacente. Il ricorso a tipologle longilinee, tese in posizioni arcuate, potrebbe far pensare a moduli cari a Nicola Grassi. Tuttavia, il polo di attrazione più prossimo sembra essere costituito da certi aspetti della grafica piazzettesca in senso lato, nella particolare declinazione - come gentilmente mi ha suggerito Andrea Tomezzoli - di Pietro Roselli, artista lagunare noto alla critica solo da pochi anni, grazie al contributi di Ugo Ruggeri e di George Knox, che hanno raggruppato attorno al suo nome una ventina di disegni. In quanto allievo di Antonio Balestra (1666 -1740), Roselli potrebbe essere nato sullo scorcio del Seicento o all'inizio del secolo successivo, considerando il fatto che risulta iscritto alla fraglia dei pittori veneziani dal 1725 al 1761 e che Zanetti (1771) lo ricorda ancora vivente nel 1771. Il disegno della collezione D'Arco si può accostare a un gruppo di schizzi preparatori Apoteosi di san Marco, soprattutto al verso del foglio conservato alla National Gallery of Art di Washington: vi ritorna la stessa struttura compositiva, sebbene semplificata, e il medesimo impianto luministico. A ciò va aggiunto l'aspetto più propriamente tecnico, caratterizzato da un ductus sciolto e nervoso e da un'economia di segni nelle definizioni fisionomiche, cui corrisponde, al contrario, un tratteggio a penna molto fitto nella resa delle parti in ombra.
Elisabetta Saccomani
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