IL PERCORSOdi visita
La visita al museo è sempre guidata
Il Palazzo, aperto al pubblico nel 1980, conserva dipinti, arredi e oggetti d'uso così come li lasciò la marchesa Giovanna. Il percorso include, oltre alle sale del palazzo neoclassico, anche la Palazzina del Falconetto e il Museo di Scienze Naturali.
LE SALE
del Palazzo
Atrio d'ingresso
Dal portale d'ingresso al palazzo, fiancheggiato da due sfingi in terracotta del Somazzi (1784) e sovrastato dalla testa di Ercole, si accede all'atrio loggiato verso il cortile d'onore.
L'atrio è ornato da due grandi statue in pietra collocate nelle nicchie: Cerere coronata di spighe, nuda e reggente spighe di frumento, e un giovane nudo non meglio identificato, reggente a sua volta fiori tra le mani. Un tempo questo spazio era chiuso da una cancellata in ferro battuto risalente al 1881, ne rimane testimonianza in due disegni del 1872, i cui segni restano visibili sul pavimento in pietra all'altezza delle prime due delle quattro colonne tuscaniche.
A destra dell'ingresso si scorge una lapide datata 6 ottobre 1799 e fatta affiggere da Francesco d'Arco per ricordare la sosta in palazzo della reliquia del Preziosissimo Sangue che processionalmente aveva solcato la città come solenne ringraziamento per la liberazione dalla dominazione francese. Sotto i bracci del loggiato verso il cortile si trovano invece le lapidi commemorative dell'apertura del museo (1980), della venuta del musicista Wolfgang Amadeus Mozart (1770) e del giudizio dell'eroe tirolese Andreas Hofer (1810).
Scalone della Loggia
Il grande scalone di accesso al piano nobile è nato, con un massiccio intervento edilizio, grazie agli interventi legati alla renovatio tardo settecentesca.
Lo scalone presenta una solenne balaustrata in marmo che sorregge, all'inizio, una beneagurante figura dell'Abbondanza, in gesso. Al termine della prima rampa è stato collocato un Mercurio, copia tardo settecentesca del marmo oggi nella Galleria della Mostra al Ducale. Oltrepassata la terza rampa si giunge al piano nobile. Alla sinistra è l'accesso alla Biblioteca, sormontato da una copia in gesso della testa dello Zeus di Otricoli. Contrapposto allo Zeus è il calco del busto di Lucio Vero, il cui originale è al Ducale.
Altri calchi di busti sono collocati nel corridoio verso il Salone degli Antenati. Sulla destra sono quello della testa di Alessandro Magno-Helios (l'originale - copia romana - è ai Musei Capitolini), quello dell'autoritratto di Canova, ripetuto anche sopra l'accesso agli Antenati, e un busto femminile in terracotta. Sconosciuti sono i personaggi raffigurati alla sinistra del corridoio.
I. Sala degli Antenati
Il salone di rappresentanza ospita sessanta ritratti degli antenati di casa d'Arco, eseguiti tra il XVI e il XVIII secolo e un tempo conservati nel castello di famiglia di Arco di Trento.
Detta anche Sala Grande o Tablino, l'ambiente mostra i caratteri e le decorazioni della renovatio neoclassica, voluta dal conte Giambattista Gherardo d'Arco, raffigurato in uno dei due busti che poggiano sulle consolle, ed attuata dall'architetto Antonio Colonna nel 1782-84. Tra gli arredi si segnalano tre portantine tardo settecentesche in legno, cuoio e tessuto e le bellissime panche dipinte con le armi di famiglia.
Il soffitto è opera di Giambattista Marconi, che lo terminò nel 1784. Allo stesso artista si deve anche la fascia alta, che sovrasta i dipinti con gli antenati con la decorazione a vasi e festoni, impreziosita da due finti busti dei quali è stato riconosciuto solo quello di Omero, sulla parete settentrionale, ispirato al marmo della collezione statuaria di Palazzo Ducale. Al di sotto dei dipinti e del fregio a cani correnti, sono ampi pannelli a grisaille riportanti copie di stucchi provenienti da Palazzo Te. I rilievi, compresi in ricchi girali, sono quasi tutti tratti dalla Loggia di Davide e riportano per la maggioranza le storie del re. Dalla parete occidentale, in senso orario non considerando i rilievi alle estremità delle pareti settentrionale e meridionale: Il profeta Samuele consacra David, Incontro tra David e Abigail, Giuditta con la testa di Oloferne, David re di Israele, Lucrezia e Tarquinio, David e Siba, Berzellai Galaadita supplice davanti a David, Giuditta con la testa di Oloferne, Mifiboset supplice davanti a David, Ercole con la pelle del leone nemeo.
Ai lati estremi delle pareti Nord e Sud sono quattro rilievi non tutti definitivamente interpretati. Partendo dall'angolo tra la parete settentrionale e quella occidentale, in senso orario: Amazzone, tratta dalla Sala delle Cariatidi al Te; Agàve con la testa recisa di Pènteo (?); Giove, Il sogno di Ecuba (?).
II. Sala delle Vedute Architettoniche
La sala, elegantemente decorata in stile neoclassico, prende il nome dalle tele con vedute appese alle pareti ed eseguite dal pittore Leandro Marconi tra il 1787 e l'anno successivo. I divanetti en bateau in stile impero, i mobili intarsiati settecenteschi tra cui la scrivania con anta a ribalta e il cassettone ispirato ai modelli di Giuseppe Maggiolini e il leggio doppio da quartetto arredano il bel salotto nobiliare. Impreziosiscono e vivacizzano gli arredi i servizi di porcellana e d'argento.
Il gusto neoclassico prosegue anche nelle decorazioni della volta, sempre eseguite dal Marconi. Qui, nelle grandi campiture, sono quattro riquadri a finto stucco con le storie di Adone. Dalla parete settentrionale, in senso orario: La nascita di Adone; Venere con un amorino ammonisce Adone cacciatore; Venere si punge il piede con la rosa mentre trattiene Marte geloso di Adone; Venere sul carro trainato dai cigni si appressa ad Adone morente.
Dal soffitto pende il lampadario in metallo con gocce molate a duplice giro di sei fiamme.
III. Sala dei Ritratti
La sala, arredata con tappezzerie in seta verde marezzata e mobilio della fine del Settecento, ospita numerosi ritratti, alcuni dei quali legati alla storia della famiglia. Quello di Teresa Ardizzoni, moglie del conte Eugenio d'Arco oppure il ritratto ovale di Lavinia Rovelli eseguito dal fiammingo Frans Pourbus il Giovane. La Rovelli era moglie di Annibale Chieppio, primo ministro nonché consigliere del duca Vincenzo I Gonzaga, da cui nel 1602 acquistò l'edificio sulle cui vestigia è nato Palazzo d'Arco.
Di rilievo sono anche il cinquecentesco Ritratto del Medico don Pietro Franzoni, il Ritratto di donna cieca, attribuito al bolognese Annibale Carracci, Ritratto di giovane uomo, dipinto dal veneziano Pietro Muttoni meglio conosciuto come Pietro della Vecchia. Spicca nella quadreria l'opera del veneziano Sebastiano Bombelli Ritratto di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, la prima donna laureata presso l'Università di Padova.
Tra la mobilia di interesse sono i due modellini di mobili e lo stipo in ebano e avorio destinato a custodire preziosi.
IV. Sala delle Nature Morte
La sala è così detta per le decine di dipinti, soprattutto nature morte o scene di genere, che ornano le pareti. Di rilievo sono i dipinti raffiguranti il Pescatore e l'Ortolana del pittore piacentino Felice Boselli, la Scena di mercato del cremonese Vincenzo Campi, Natura morta del pittore Vincenzo Volò. Al centro si trova la tavola da pranzo imbandita con servizi di porcellana di famiglia, esposti a rotazione, vetri settecenteschi, ed argenteria. Alle pareti si alternano poltrone e sedie settecentesche, così pure del XVIII secolo è il parafuoco. Del seicento è invece la credenza dipinta a finto marmo.
Non deve ingannare l'attuale collocazione della tavola imbandita al centro della sala: questo ambiente in realtà era una camera da letto, che aveva un'appendice nella loggetta e nell'attuale Sala da Musica, che era invece una toeletta. Il letto infatti era collocato originariamente alla parete occidentale, dove oggi è invece posta la credenza Luigi XIV.
Anche l'aspetto della volta è cambiato: dai documenti sappiamo che anticamente era al centro collocata l'ampia tela, opera di Carlo d'Arco, raffigurante La Pace. Attualmente al centro del soffitto compare un tondo che racchiude un'aquila recante nel becco l'arco, simbolo della famiglia, e negli artigli un ramo d'olivo. Dal soffitto pende un grande lampadario in metallo con gocce di vetro molato, a nove fiamme. Volta e pareti presentano una sobria decorazione ad ampie specchiature e tenui ornamenti a grisaille.
V. Loggetta
Il piccolo ambiente decorato con grande delicatezza è una finta loggia e contiene varie sculture tra cui la rinascimentale vasca da fontana proveniente dalla villa realizzata da Giulio Romano per Federico II Gonzaga a Marmirolo, località vicino a Mantova.
Anche la loggetta era anticamente una piccola camera da letto; quest’ultimo era collocato alla parete occidentale, insieme ad una grande stufa cilindrica e ad un piccolo gruppo in gesso raffigurante le Tre Grazie del Canova. Oggi sia la stufa che le Tre Grazie sono in Biblioteca.
VI. Saletta della Musica
L'ambiente che oggi appare come Sala da Musica, adorno com'è di strumenti antichi - ma molti di più ve ne erano in passato, poi collocati per ragioni di conservazione nelle vetrine del Corridoio dello Specchio - era originariamente una toeletta.
Splendido è l'arredamento con le tappezzerie in seta azzurra e dorata, le sedie e le specchiere Impero. Qui sono esposti la tiorba veneziana a 18 ordini, firmata Matteo Sellas e datata 1647, l'arpa inglese a doppio movimento Sébastien Érard del 1819 e il grammofono degli anni '30 del XX secolo.
Della tiorba se ne conoscono attualmente solo tre esemplari in tutto il mondo, ed è stato classificato, nel catalogo della mostra su Evaristo Baschenis, come Tiorba a 18 ordini di corde. Delle corde i primi sei ordini sono doppi e tastabili, i rimanenti 12 singoli. All'interno compare un cartiglio del seguente tenore: "MATTEO SELLAS / alla corona in Venetia 1647".
Di particolare interesse ma difficilmente visibili al pubblico, che può solo affacciarsi sulla piccola saletta, sono due laboriosi intagli in carta ottocenteschi di Carlo d'Arco raffiguranti Le petit Antoine (il nipotino Francesco Antonio reggente una frusta e con un piccolo Arlecchino) e Jeanne d'Arco. Carlo d'Arco, disegnatore e storico, amava dilettarsi in tali opere come la consuetudine del suo tempo suggeriva.
Ritornando verso la sala degli Antenati si prosegue nell’appartamento opposto.
VII. Sala di Diana
La sala, che apre l'appartamento sul lato settentrionale del fronte principale, prende il nome dal carro di Diana dipinto sulla volta. Questo ambiente era un tempo una piccola camera da pranzo mentre oggi ospita una parte importante della quadreria del Palazzo. Qui infatti si possono apprezzare dipinti, perlopiù seicenteschi, alcuni di gran pregio e bastino ricordare Psiche implora Cerere e Giunone di Sante Peranda, Villa con giardino e Ponte Pietra a Verona del Pozzoserrato, Paesaggio pastorale di Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, e Venere disarma Amore di Orazio Somacchini. Tra gli arredi risalta la credenza mantovana degli inizi del XVII secolo.
Che la Camera di Diana fosse una sala da pranzo lo si può dedurre dal passavivande inserito nella parete meridionale, ben visibile dalla Sala degli Antenati; qui si trovava la tavola imbandita ora collocata nella Sala delle Nature Morte. Splendido è il pavimento in parquet intarsiato, che si ritrova in tutto questo appartamento con varianti nel disegno, frutto di un restyling ottocentesco voluto dal conte Francesco Antonio d'Arco. Al centro del pavimento si vede un tappeto Heris Serafi del XIX secolo, il più pregiato della collezione d'Arco. Dal soffitto pende un lampadario in metallo e gocce a duplice giro di dieci fiamme.
VIII. Sala rossa
Notevole esempio di ambiente aristocratico della seconda metà dell'Ottocento, il nome deriva dalla tappezzeria in damasco di seta rosso. Tutti gli arredi in ebano nero con applicazioni in bronzo dorato, in stile tardo vittoriano, furono eseguiti a Londra nel 1874 per il conte Francesco Antonio d'Arco. Sono presenti anche tre stipi sette-ottocenteschi in ebano e avorio. I dipinti sono per la grandissima parte ritratti di personaggi della famiglia d'Arco: dal conte Francesco Antonio d'Arco, che ha voluto questo ambiente e che è effigiato nella tela al centro della parete occidentale, al padre conte Luigi d'Arco, appassionato naturalista ritratto dal pittore mantovano Giacomo Albè. Si aggiunge il Ritratto di Giovanna de Capitani d'Arzago del pittore Zona o quello di Antonio bambino vestito da tamburino del pittore fiammingo Raphael Jacquemin.
La sala rossa è l'ambiente che meglio ha preservato la sua integrità restituendo un quadro preciso del salotto da ricevimento del conte Francesco Antonio d'Arco.
Interessanti dal punto di visto documentario sono anche i Ritratti di Gertrude d'Arco e di Francesco Biondi, la prima era sorella di Luigi e sposa del Biondi, l'autoritratto del conte Carlo d'Arco, fratello e storico mantovano, e infine il Ritratto del conte Antonio raffigurato nel busto in marmo appoggiato sopra uno dei piedistalli in ebano. Quest'ultimo, fratello di Luigi e Carlo, fu una figura importante nelle istituzioni assistenziali della città nella prima metà dell'Ottocento.
Alla parete meridionale sono due porte, la prima collega il salotto rosso alla vicina sala neoclassica mentre la seconda, murata ospita una vetrina con porcellane e vetri. Nei pressi della prima vetrina si vede, incorniciata, una tavolozza appartenuta e firmata dal pittore milanese Girolamo Induno (1827-1890). Il pavimento, in parquet, è coperto al centro da un tappeto persiano ottocentesco, mentre dalla volta pende un lampadario in legno a sei fiamme.
IX. Sala di Pallade
La sala prende il nome dalla figura della Sapienza collocata nel tondo centrale del magnifico soffitto a lacunari. Accanto a lei, nei quattro angoli, sono quattro effigi di letterati del passato: Socrate, Omero, Virgilio e Ariosto, simboli rispettivamente della filosofia greca, della poesia greca, della poesia latina e di quella italiana.
Il soffitto è assegnato ai pennelli di Giuseppe Crévola e Giambattista Marconi ed è assai simile, insieme a quello della stanza seguente, a quelli delle stanze con gli arazzi raffaelleschi in Palazzo Ducale, coevi e sempre dovuti all'Accademia Mantovana. L'ambiente era lo studio del conte Giambattista Gherardo d’Arco e poi di Antonio d'Arco. Ora la sala raccoglie parte della quadreria, con particolare attenzione ai ritratti, risalenti prevalentemente tra il Cinquecento ed il Settecento. Tra i dipinti ricordiamo quelli di interesse mantovano, tra cui lo splendido Ritratto del duca Vincenzo I Gonzaga di Frans Pourbus il Giovane: il duca indossa l'armatura con il "sic", regge il bastone del comando e sotto la gorgiera ostenta il toson d'oro del quale era stato insignito da Filippo II nel 1588. Si aggiungono il Ritratto di Baldesar Castiglione, copia antica dell'originale di Raffaello ora al Louvre, e il Ritratto del conte Annibale Chieppio.
Vero e proprio capolavoro è il Ritratto di gentiluomo eseguito dal pittore di Luigi Miradori detto il Genovesino.
E ancora: il Ritratto di Margherita d'Austria Stiria, regina di Spagna nel 1598, impreziosito dalla splendida cornice intagliata a foglie di vite e grappoli d'uva, il Ritratto del religioso Alessandro Zoni, firmato e datato 1640 dal fiammingo Jacob Denys. il seicentesco Uomo con berretto e tavolozza di Salomon Adler, il Ritratto di papa Benedetto XIII attribuito a Giuseppe Bazzani.
Al centro della sala è un tavolino con piano in scagliola. Su questo è una Scena di bagnanti con rovine, opera di scuola veneta del XVIII secolo.
Al soffitto infine è appeso uno splendido lampadario di Murano del XIX secolo, a otto fiamme.
X. Sala Themis o della Giustizia
L'ambiente è detto "della Giustizia" per il dipinto che orna lo scomparto centrale del soffitto: la dea Themis, reggente bilance e spada, incoronata da un amorino mentre una figura femminile è in atto di supplicarla. Il soffitto è assai simile a quello della Sala di Pallade e dal lacunare centrale pende un lampadario in vetro a sei fiamme, ma in origine era qui collocato il lampadario di Murano collocato nella sala precedente. Le pareti sono ricoperte dalla caratteristica tappezzeria verde che dà il nome alla stanza.
La sala mostra tra arredi e dipinti una raccolta eterogenea: si segnala il Ritratto di Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers, ultimo duca di Mantova nel 1707, attribuito al pittore fiammingo Frans Geffels, la mantegnesca Madonna degli Angeli di Nicolò da Verona e San Girolamo penitente attribuito a Bartolomeo Montagna. Tra gli arredi l'attenzione si pone sull'Armadio degli eremiti, un tempo collocato nella sacrestia della Cappella dell'Olmo Longo, residenza di villeggiatura di Annibale Chieppio.
Sono esposti nella sala anche altri dipinti come la piccola tavola con la Visita del medico (scuola olandese del Seicento), il Ritratto di Caterina d'Arco sposa nel 1384 di Bonifacio III Malaspina Castelbarco e la tavola quattrocentesca raffigurante la Morte del beato carmelitano Bartolomeo Fanti del pittore Masumian, Massimiliano Nastasi.
Il tavolo al centro della stanza accoglie quattro statue: Cristo e la Madonna, in pietra del XV sec, attorniate da quelle in marmo raffiguranti San Paolo dei primi del XV sec. e un santo papa attribuito ad Antonio da Mestre. Per quanto riguarda il mobilio di pregio è il trumeau veneziano settecentesco decorato con figure in carta ritagliate, dipinte ed applicate.
XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre
Detta anche Sala dei Religiosi è il vero cuore della pinacoteca e accoglie il nucleo maggiore dei dipinti di soggetto religioso. Il soffitto è a lacunari, decorati a monocromo con festoni ed aquile, con le divinità Giove, Marte, Diana ed Apollo e altre figure che presentano gli strumenti simbolici della geometria, dell'architettura, della geometria e delle arti visive. Numerosissime i dipinti presenti, tra i quali ricordiamo il Cristo Redentore, opera di Lorenzo Lotto, la Deposizione, opera della bottega di Rubens e un Cristo Crocefisso, per alcuni opera di Antoine Van Dyck, che per alcuni giorni nel novembre 1623 fu ospite a Mantova dove fece un ritratto di Ferdinando Gonzaga. E ancora: un Cristo portacroce, opera cinquecentesca attribuita a Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma e il fondo oro raffigurante Cristo davanti a Pilato, già attribuita ad Antonio della Corna.
La quadreria è ricchissima: un Cristo portacroce, opera del primissimo Cinquecento già attribuita al pittore emiliano Giovan Francesco Maineri, una Flagellazione di Cristo, attribuita a Lorenzo Costa il Giovane, L'incredulità di Tommaso, opera degli anni maturi di Antonio Carneo (1637-1692), La Vergine porge il Bambino a San Francesco, opera del cappuccino Fra' Semplice da Verona (1621-22) e una Sacra famiglia di Giambettino Cignaroli (1706-1770) solo per citare i più noti. I mobili sono in prevalenza collocabili tra Sei e Settecento. Ricordiamo anzitutto i due altari qui collocati: uno in legno intagliato e dipinto della prima metà del Seicento, l'altro in legno intagliato, dipinto e dorato della seconda metà dello stesso secolo.
XIA. Sala Cavriani
La sala espone un nucleo di opere donate nel 2014 dal marchese Federico Cavriani alla Fondazione d'Arco, a testimonianza dello stretto legame plurisecolare tra la sua famiglia e la città di Mantova. La donazione Cavriani riveste una speciale importanza non solo per la preziosità dei beni ricevuti ma per il significato culturale che veicola: due delle casate più importanti del Settecento mantovano vengono idealmente coniugate a Palazzo d'Arco che ne custodisce la memoria.
La donazione comprende una coppia di comò, firmati e datati Giuseppe Colombo, detto il Mortarino 1775, due dipinti e un cofanetto quattrocentesco in legno intarsiato e osso della bottega degli Embriachi con raffigurate le storie di Susanna. L'opera più rilevante dal punto di vista documentario è l'albero genealogico della famiglia Cavriani, in carta vergata e inchiostro, che mostra l'unica rappresentazione esistente dell'antico palazzo-castello dei Cavriani, sito sulle rive del fiume Po presso Sacchetta, ora scomparso.
La famiglia de Caprianis (i Cavriani) ha origini antiche; prima signori di Sacchetta di Sustinente, in insula Gubernuli sul fiume Po, che fu elevata a feudo imperiale nel 1359, poi marchesi del feudo di Colcavagno in Monferrato, grazie al riconoscimento concesso nel 1638 dalla contessa reggente Maria Gonzaga a Francesco.
Il periodo aureo della famiglia è senza dubbio il Settecento quando i Cavriani, conclusosi il dominio gonzaghesco, si distinsero per il colto mecenatismo colmando la lacuna della committenza asburgica sul fronte collezionistico. Il marchese Antonio avviò nel 1734 la costruzione del grande palazzo di via Trento, realizzato per mano dell'architetto bolognese Alfonso Torreggiani sulle vestigia di quello antico, e accostando a tale impresa un'accorta attività di mecenatismo che portò alla formazione della prima raccolta di un ingente patrimonio.
Di rilievo nella donazione sono la Coppia di comò a forma convessa, opera del noto ebanista Giuseppe Colombo, detto il Mortarino (da Mortara, luogo di provenienza) attivo a Milano come "falegname di mobili e di fabbrica", membro dell'Università de legnamari e autore di numerosi lavori datati dal 1774 al 1787. La puntuale attribuzione è supportata dalla presenza, sul fondo del mobile, di un cartellino con l'interessante nota a inchiostro bruno su carta:
"1775 Adi . 9 . Mago . fecit Gusepe Colombo . deto il mortarino".
Le forme sinuose e la ricchezza dei dettagli negli intarsi, con trofei, bandiere e volute sul fronte, e con strumenti musicali e figure sui fianchi, i piani incastonati in alabastro e le montature in bronzo dorato con maniglie a forma di leoni in lotta e chiusure a testa di leone, i piedi a palla e zampa, sono espressione del barocchetto caratteristico dell'ambito culturale lombardo di cui il Colombo faceva parte e che di lì a poco sarebbe stato sorpassato dalla linearità e geometricità di Giuseppe Maggiolini (1738-1814).
Pregevole è anche il Cofanetto portagioie ascrivibile alla celebre Bottega degli Embriachi diffusa e apprezzata in tutta Europa. Il coperchio a urna aggettante richiude il contenitore decorato con due cornici, modanate e intarsiate con i caratteristici motivi geometrici alla certosina; a impreziosire il corpo vi è una fascia composta da placchette in osso intagliato con scene figurate tratte dalla Storia di Susanna. I decori alla certosina continuano sul coperchio, su tre lati del quale corre un nastro in osso intagliato con motivo di angeli reggiscudo. Il quarto lato è incompleto.
Infine, dal punto di vista documentario, si ricorda il pregevole Albero genealogico della famiglia Cavriani, di ambito lombardo eseguito su carta vergata a inchiostro metallo-gallico. L'opera commissionata dall'illustre Signor Marchese Ferdinando Cavriani intorno al 1659 raffigura la genealogia della famiglia, dal capostipite Pietro, secondo il consueto modello iconografico del tronco d'albero con le sue ramificazioni.
L'albero affonda le radici sulle rive dell'insula Sacha bagnata dalle acque del fiume Po da cui deriva il toponimo Sacchetta di Sustinente; qui, visto dal Po ossia dall'originario ingresso principale, si trovava il maestoso Palazzo – Castello dei Cavriani, meticolosamente descritto dalla mano esperta del disegnatore, con le sue torri, i mirabili giardini e i campi annessi coltivati a vite maritata. Il palazzo-castello fu abbattuto nel 1855 in seguito ai gravissimi danni subiti dopo tre inondazioni (nel 1705, 1717 e 1801) e l'illustrazione sopra citata ne è l'unica immagine pervenuta.
XII. Passettino dei Reliquiari
Nella cassapanca trentina intagliata e dipinta (secolo XVII o XVIII) si conservano alcune delle numerose reliquie di famiglia: quelle di Santa Teresa, Santa Caterina da Bologna, di Sant'Anna, della Terra Santa e della croce di San Pietro e persino un guscio di tartaruga decorato all'interno con l'immagine di una Madonna con Bambino. Sono presenti anche alcuni pregevoli dipinti: la tela di Fra' Semplice da Verona, datata 1640, raffigurante San Felice da Cantalice con il Bambino e la Vergine e due dipinti più piccoli con Eremiti in preghiera in un bosco, attribuiti al genovese Alessandro Magnasco.
Il vano, assai piccolo, è l'ultimo dell'appartamento con pavimento in parquet. Il soffitto è a cassettoni lignei con decorazioni del XVII-XVIII sec. Le pareti oggi presentano, sui lati delle porte, una cornice dipinta con scene di genere (XVII sec.) ma un tempo erano coperte da damasco.
XIII. Sala di Alessandro Magno o del Bazzani
Il nome deriva dalle sette imponenti tele dipinte dall’eccellente pittore settecentesco mantovano Giuseppe Bazzani. L'ambiente presenta il soffitto a lacunari lignei, al quale è appeso il lampadario in legno dorato a due giri di cinque fiamme, ed il pavimento in cotto antico. Per quanto riguarda l'arredo pittorico grandissimo risalto hanno ovviamente i sette teleri con la vita di Alessandro Magno Macedone opera di Bazzani, del quale è presente anche (alla parete meridionale) una piccola tela raffigurante La Fuga in Egitto. Un medaglione in stucco ritrae l'effigie dell'artista mantovano.
I dipinti furono eseguiti probabilmente per Giacomo Biondi, mecenate del Bazzani, sull'iconografia dettata dal testo di Quinto Curzio Rufo. Il ciclo, un tempo collocato in Palazzo Biondi, retrostante Palazzo Cavriani, fu donato da Anna Biondi Cardani al cugino Francesco Antonio nel 1883. Le sette tele raffigurano: da destra Alessandro riceve la moglie di Dario Re di Persia, Alessandro che doma Bucefalo, Alessandro che consulta gli indovini, Alessandro con la famiglia di Dario, sotto Alessandro e la morte della moglie di Dario, L'incontro di Alessandro e Rossane e infine il Matrimonio di Alessandro con Rossane. La sala è completata da una pregevole raccolta di sculture tra cui si segnala l'Arcangelo Gabriele annunciante del XIV secolo, già sul sepolcro di Alda d'Este (1381).
Sala di Alessandro Magno o del Bazzani
Il nome deriva dalle sette imponenti tele dipinte dall'ottimo pittore settecentesco mantovano Giuseppe Bazzani. L'ambiente presenta il soffitto a lacunari lignei (al quale è appeso il lampadario in legno dorato a due giri di cinque fiamme) ed il pavimento in cotto antico. Per quanto riguarda l'arredo pittorico grandissimo risalto hanno ovviamente i sette teleri con la vita di Alessandro Magno Macedone opera di Bazzani, del quale è presente anche (alla parete meridionale) una piccola tela raffigurante La Fuga in Egitto. Un medaglione in stucco ritrae l'effigie dell'artista mantovano.
I dipinti furono eseguiti probabilmente per Giacomo Biondi, mecenate del Bazzani, sull'iconografia dettata dal testo di Quinto Curzio Rufo (ma non tutti: ad esempio in Rufo non compare la scena di Alessandro con Bucefalo, che invece è tratta dalla Vita di Alessandro Magno di Plutarco). Le tele erano conservate all'interno del palazzo di famiglia (dietro palazzo Cavriani) e passarono quasi certamente alla famiglia d'Arco nell'Ottocento in seguito al testamento del 1883 di Anna Biondi a favore del cugino Antonio d'Arco. Alessandro era nato nel 356 a.C. Frequentò la scuola di Aristotele e nel 336 assunse il dominio della Macedonia. Percorrendo la storia narrata dalle tele troviamo anzitutto la scena di Alessandro doma Bucefalo all'angolo tra le pareti nord e ovest. Bucefalo era infatti un cavallo considerato indomabile ma Alessandro, che aveva capito il timore che la bestia aveva per la sua stessa ombra, lo condusse contro il sole e poi lo domò. Quindi, alla parete nord Alessandro, la regina Sisigambi ed Efestione (l'episodio narra delle regine Sisigambi e Statira – moglie di Dario III – prigioniere dei macedoni, le quali, non avendo mai visto di persona Alessandro, si inginocchiarono non a lui ma davanti all'amico Efestione, di corporatura assai più imponente). Quindi Alessandro incontra la famiglia di Dario dopo la battaglia di Isso (durante la quale, nel 333, sconfisse i persiani), all'angolo delle pareti sud ovest, in alto. A fianco, alla parete ovest, è la tela raffigurante, secondo Signorini, Alessandro con gli indovini nel tempio di Giove Ammone (nel quale il sacerdote anziano lo chiamò “figlio di Giove”). Quindi, collocata al di sotto di quella raffigurante Alessandro con la famiglia di Dario III Codomano dopo la battaglia di Isso, è la tela raffigurante La morte della moglie di Dario III Codomano. Quindi l'epilogo: al centro della parete sud è la scena nella quale Il satrapo Ossiarte offre ad Alessandro un convito durante il quale incontra Rossana e, alla parete est, Il matrimonio tra Alessandro e Rossane. Stilisticamente il ciclo di Palazzo d'Arco si colloca negli anni Quaranta ed è prossimo alla pala della parrocchiale di Goito. È inoltre in relazione con la prima rappresentazione a Mantova (1738) dell'Alessandro nelle Indie di Metastasio. L'arredo vede presenti alcune cassepanche in noce sulle quali sono collocati alcuni marmi antichi (una testa femminile romana del I sec. d.C., un torsetto di poco successivo, il coperchio di un'urnetta cineraria) È inoltre presente un pannello in scagliola raffigurante il collare del Redentore, come pure un statua raffigurante Angelo Annunziante acefalo, un tempo in San Francesco. Notevole è infine la poltrona Luigi XIV con tappezzeria in cuoio pirografato.
Ritornando verso la sala della Giustizia si accede alla
XIV. Saletta Neoclassica
La saletta, finemente decorata con stucchi neoclassici, bassorilievi e busti, ospita nelle nicchie sculture riproducenti copie in gesso di Antonio Canova, Le Danzatrici e Tersicore.
Dal 24 marzo 2023, la Saletta Neoclassica vedrà esposti a rotazione abiti e accessori appartenuti alla famiglia d'Arco, restaurati grazie al progetto La Moda Racconta. Qui sarà allestita una vetrina con controllo dell'umidità e della temperatura per ottimizzare la conservazione.
XV. Corridoio dello Specchio
Lo specchio veneziano dà il nome a questo ambiente che riconduce alla Sala degli Antenati. Pregevole il pavimento in cotto marmorizzato. Nelle vetrine sono esposti diversi strumenti musicali a corde quali violini, liuti, mandolini, e chitarre-lira.
XVI. Biblioteca
La sala nel Settecento era destinata a sala del banchetto; poi fu allestita la biblioteca che raccoglie circa 10.000 volumi di famiglia contando edizioni importanti tra cui, la seconda edizione della Encyclopedie di Diderot e D'Alembert (Lucca 1758-1761), opere di carattere scientifico e naturalistico, come quella di Ulisse Aldrovandi (1522-1605), di ippologia, di teologia e filosofia, ma anche incunaboli, cinquecentine e manoscritti.
Splendida è l'architettura e la decorazione neoclassica, ritmata sulle pareti da quattro nicchie, due per ogni parete principale, contenenti grandi vasi in gesso eseguiti negli anni Cinquanta del Novecento. Al centro delle pareti laterali sono dipinti a monocromo due clipei. Quello sulla parete occidentale raffigura lo Stemma della famiglia d'Arco ed è accompagnato dal motto A magnis maxima (dai grandi [hanno origine] i massimi avvenimenti). Sotto questo clipeo un bassorilievo raffigurante Amor nella fucina di Vulcano, tratto dagli stucchi dell'omonima sala a Palazzo Te. Nel clipeo alla parete orientale è invece la raffigurazione del Castello di Arco, come appariva prima delle grandi demolizioni settecentesche avvenute nel 1703 con il generale Vendôme e alla fine del secolo con Napoleone. Il clipeo è accompagnato da un distico elegiaco di Nicolò d'Arco: Alter ut in terris niteat demissus / olimpo est / arcus, sitque hominum foedus / ut ille deum / Nic. Com. Arch. in cod. (Un secondo arco è stato inviato dall'Olimpo, affinché risplenda sulle terre e sia patto degli uomini così come quello degli dei). Al di sotto del clipeo è un bassorilievo, pure tratto dagli stucchi dell'omonima sala a Palazzo Te, raffigurante Nettuno sul mare. Sia questo bassorilievo, sia quello della parete opposta furono plasmati nel 1791 da Dalmaschio e Pellegrini.
Fanno parte della biblioteca le raccolte di stampe, di disegni antichi e di fotografie.
XVIA. Passettino
Il piccolo ambiente, contenente altri volumi, conduce al salottino ottocentesco.
XVII. Sala di Hofer o delle carte da parati
La sala è dedicata all’eroe della Val Passiria, detto “il general barbon”. Proprio in Palazzo d’Arco, probabilmente nel Salone degli Antenati, il 19 febbraio 1810 si tenne la riunione del tribunale napoleonico che lo condannò alla fucilazione decisa dall’imperatore, eseguita il giorno successivo sugli spalti di Cittadella, in un prato sulla destra di Porta Giulia. Oggi la sala è un salotto, ma precedentemente era una camera da letto. La sala è adorna di carte da parati tratte dalla serie delle vedute d’Italia di Dufour e Leroy su disegno di Prévost (1823). Si tratta di panoramiche in "grisaille" che rappresentano Amalfi, il Vesuvio, navi all'ancora, cascate, rovine antiche... Le panoramiche non corrispondono esattamente alla descrizione del catalogo di Dufour e Leroy, probabilmente perchè sono state ritagliate o montate in maniera diversa per adattarle alle dimensioni delle pareti della stanza. Al di sopra delle panoramiche scorre sulle quattro pareti una striscia decorata con un motivo di gufi. Il soffitto è composto da una unica tela di 42,6 metri tesa ai lati del soffitto su delle aste di legno. Sulla tela, coperta da un primo strato di carta, sono incollate delle strisce decorative e degli angoli di carta con un motivo di grappoli d'uva.
L'arredo della sala è ottocentesco con il bel salottino in stile biedermeier e un fortepiano costruito a Mantova da Gaetano Menotti nel 1819. Si segnala inoltre una rara stampa della metà dell'Ottocento raffigurante il monumento funebre dell'eroe nella Hofkirche a Innsbruck. La stampa è stata donata al museo dagli Schützen tirolesi il 19 febbraio 2000.
Queste carte da parati venivano stampate con il metodo della xilografia. Sul fondo uniformemente colorato, l'impressione era realizzata con colori spessi a tempera e non più ad olio; procedimento conosciuto da tempo in particolare dai Cinesi. Papillon (1698-1778) l'aveva sperimentato ma poi abbandonato: temeva che il colore non reggesse all'umidità, in particolare al momento dell'incollaggio e del montaggio. Reveillon (1765-1789) utilizzò la fabbricazione del "papier vélin"; l'incollaggio dei fogli in rotoli di 9 "aunes" (10,70 m), e la stampa à la "frappe" per mezzo di pile di legno con il foglio posizionato sotto la lastra.
XVIII. Cucina
Il caratteristico ambiente è fornito di una straordinaria collezione di oggetti e utensili in rame: stampi per dolci e timballi, tegami, secchi per l'acqua, samovar e quanto altro poteva essere usato in una cucina dell'Ottocento. A destra la porta che conduce alla scala di servizio e di fronte la scaletta in legno per accedere alla soffitta.
Risale all'Ottocento ed è un piacevole, piccolo ambiente dove fanno sfoggio utensili e forme di rame, ottone e peltro. Il torchio per la pasta, i macinacaffè, uno scaldino per il letto dalla vaga forma a ferro da stiro, brocche e piatti vari, un antico spremiagrumi ma ancora scaldini per le mani e i piedi, la stadera, stampi e tegami di ogni foggia e misura. Dopo la porta verso alcuni ambienti di servizio è il fornello in pietra e accanto il camino con i paioli, i ferri per il girarrosto e le molle per tostare il caffè o altri semi. Non si possono non notare la raccolta di teiere e il gigantesco mortaio.
Tra gli arredi, una credenza, il tavolo in abete e alcuni tavolini. Il secchiaio era fornito di acqua corrente grazie al serbatoio collocato nell'ammezzato.
Scendendo lo scalone d'onore si raggiunge il cortile da dove si accede alla
XIX. Camera da letto della Contessa Giovanna d'Arco
La stanza, arredata con mobilio stile impero e con un bel trumeau settecentesco, è stata utilizzata dalla contessa Giovanna d'Arco fino al 1973, anno della sua morte. La raffinata semplicità degli arredi, le fotografie, gli oggetti personali custoditi nello scrittoio, il libro delle sue poesie, stampato nel 1927, riflettono l'animo raffinato e lo stile di vita riservato condotto negli ultimi anni di vita.
Alle pareti si trova la bella raccolta di acquerelli dipinti dalla contessa Amalia Sanvitale, bisnonna di Giovanna e allieva di Giovanni Bellavite.
La camera da letto della contessa Giovanna d'Arco costituisce un ambiente unico per tipologia funzionale, essendo l'unica camera da letto ancora allestita di un membro di famiglia, e carico di valore simbolico perché rappresentativo della dimensione privata della vita della contessa.
La stanza, collocata nell'appartamento utilizzato dall’ultima discendente dopo la morte del marito, nel 1931, a seguito del suo ritorno al Palazzo di famiglia, e sino al 1973, anno della morte della nobildonna, conserva gli arredi originali, i dipinti e al contempo la preziosa memoria.
La camera, dopo i restauri sostenuti dalla ditta Levoni Spa, è stata integrata nel percorso museale ordinario nel 2016.
XXV. Giardino d'inverno
Pochi gradini da percorrere sotto la grande magnolia per entrare in uno spazio d'altri tempi, illuminato dalla luce che filtra dalle vetrate, le aiuole, le terrecotte antiche, il bronzo della Tuffatrice che si lancia nelle acque popolate di pesci e tartarughe. Un luogo di calma e serenità che risale ai primi del Novecento in cui gli agrumi e le piante esotiche trovavano riparo nel periodo invernale.
Si tratta di una serra ricavata all'interno dell'antica rimessa delle carrozze, in origine composta di quattro ambienti. Entrando si nota la stufa a legna in ceramica bruna alla destra dell'ingresso. L'ambiente è completamente circondato da aiuole per la messa a dimora delle piante ed era riscaldato da un sistema di radiatori ad acqua calda che si vedono dalle griglie del pavimento. Al centro una polla d'acqua con pesci rossi e tartarughe. Di fronte, verso l'orto, una statua in bronzo di una giovane tuffatrice (o Tuffolina) opera del varesino Odoardo Tabacchi (1878) e copia bronzea del marmo conservato a Napoli nel Museo Nazionale di Capodimonte.
Il percorso prosegue oltre l'esedra nelle due palazzine rinascimentali site nel bel giardino romantico: la Palazzina del Falconetto e il Museo di Scienze Naturali.
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