I DIPINTIa Palazzo
I Dipinti
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La quadreria del XVI sec.
Immagine non disponibile | Gesù disputa fra i dottori nel tempio Boccaccio Boccaccino (Cremona? c. 1465-1524/25) Olio su tavola Cm 58x32 Inv. 984 Posizione: XIII. Sala del Bazzani |
Già da Marco Tanzi attribuito allo Pseudobramantino ora ricondotto a Boccaccio Boccaccino da Franco Moro.
Madonna col Bambino Lorenzo Costa il Vecchio (Ferrara 1460-Mantova 1535) Olio su tavola Cm 54x41 Inv. 815 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Manuela Zanelli (1980): "Pare che il dipinto fosse datato e firmato. Nello schedario delle opere pittoriche di Casa d'Arco di Jole Belladelli figura infatti come "Laurentius 1502". Firma e data sono oggi purtroppo scomparse dopo che il dipinto è stato di recente sottoposto a ripulitura [c. 1978/80]. La tavola, che presenta in più punti delle tracce di caduta del colore, ed è anche sfalsata nelle sue originarie qualità pittoriche dall'esteso restauro, non permette una sicura attribuzione al Costa, anche se si può certamente affermare che l'opera sia uscita dalla sua bottega e probabilmente eseguita sotto la diretta sorveglianza del maestro. Lo fa supporre la sicurezza di taglio dato all'immagine che rientra nel sistema di composizione su andamenti diagonali ed aperti verso l'esterno tipicamente costesco, con una indicazione precisa di punto di vista da sinistra a destra suggerito a chi guarda dalle mani giunte della Madonna. La figura della Vergine posta di tre quarti forma poi con il Bambino steso ai suoi piedi una perfetta triangolazione. Non pochi sono inoltre i motivi iconografici e tipologici in cui si riconoscono il lessico e la morfologia del Costa, tanto che la tavola sembra quasi la messa a fuoco o l'ingrandimento di un motivo prelevato da suoi dipinti più ampi. Non è da trascurare ad esempio tutta la serie dei Presepi compiuti dall'artista tra il 1491 e il 1492: il Presepe di Lione, quello Scaglietti, quello che passa sotto il nome di Chiodarolo in Pinacoteca a Bologna, quello Maccaferri. In essi il Costa aveva fissato una serie di motivi e moduli compositivi appunto qui ripresi come si ritrovano pure in diverse altre opere successive. Si possono citare, ad esempio, il motivo del Bambino sdraiato sul prato sopra un panno bianco e il tema del roccione che sovrasta la rappresentazione, presente nel Presepe detto Chiodarolo e poi ripreso nella Pietà di Berlino, più tarda e anche qui ravvisabile sulla sinistra, se pur ridotto nelle dimensioni. Così le figurette nel paesaggio che richiamano i modi dell'artista bolognese Amico Aspertini, si ritrovano qui come nei Presepi succitati e in altre opere successive. Il paesaggio è poi tipicamente costesco: la cerchia dei monti che sfuma in vapori azzurrini, il ripetersi della lontana linea dell'orizzonte nei profili più vicini delle colline, il loro degradare obliquo nella pianura con andamenti diagonali, l'aprirsi della conca lacustre tra le colline e il motivo della rocca o del castello che la sovrasta. E la stesura a dense e compatte masse di colore pastoso di quei declivi lussureggianti e dilavati come dopo la pioggia ci richiama pure la maniera del Costa. La figura della Madonna sembra poi quasi puntualmente citare il tipo del Presepe bolognese, nel volto ovale, nella capigliatura, nella veste, nell'atteggiamento di devota umiltà. Si ripete anche qui quella facile formula delle opere di carattere più particolarmente religioso e devozionale dell'artista che dall'ultimo decennio del '400 innesta modi perugineschi sul pietismo della pittura del bolognese Francia".
Manuela Zanelli
Per Franco Moro di sicura attribuzione a Lorenzo Costa il Vecchio.
Lorenzo Lotto (Venezia 1480 c. - Loreto 1556) Cristo redentore 1524 - 1527 Olio su tela Cm. 101x74 Inventario 971 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
La tela, attribuita al Lotto da Rodolfo Pallucchini (com. orale), fu pubblicata per la prima volta dalla Perina (1964) e più tardi catalogato dalla Mariani Canova (1975). Dal punto di vista stilistico la Perina l'ha giustamente avvicinata al polittico di Ponteranica e alla ”Assunta di Celana” situandola in un periodo ricco di opere d'arte c. 1524.27. La studiosa evidenzia lo straordinario cromatismo del dipinto, con accenti stridenti e contrastanti, un po' come nella "Trinità" di Bergamo (chiesa di Sant'Alessandro della Croce) che ricorda un Cristo sorprendente, con accento più "selvaggio" e soprattutto raffaellesco: "e ancora una volta, in tale spregiudicatezza cromatica, si ribadisce la genesi lombarda e specificamente bergamasca di quest'opera, libera dal tonalismo melodico di Giorgione quanto dal caldo impasto tizianesco". La tela della Fondazione d'Arco, dal piccolo formato certamente destinata ad una committenza privata, è un'impressionante immagine della fervente devozione del Lotto, una sorta di esercizio spirituale sul tema della "Passione di Cristo" per la quale egli aveva una particolare devozione. Tuttavia la mediazione sul sangue di Cristo che ci propone l'accosta molto da vicino al tema del Cristo del polittico di Jesi (Pala di San Francesco al Monte) del 1526, ripresa nel " Cristo risorto” con i simboli della passione (Vienna, Kunsthistorishes Museum) databile sul 1543, ricco di lirismo e misticismo impressionanti, che esprime la fusione intima del Lotto con la sua opera e la sua straordinaria capacità di rinnovare un tema divenuto quasi ossessivo.
Silvie Béguin
Giovani donne che danzano Scuola mantovana II decennio del secolo XVI Olio su tavola Cm 35x45 Inv. 1185 Posizione: VII. Sala di Diana |
Già attribuito a Lorenzo Leonbruno, questo monocromo è da assegnare ad un anonimo artista di ambiente mantovano. L'opera è stata accostata dalla Perina (1961) alla "Calunnia di Brera" del 1524-25 del Leombruno e dalla Zanelli (1980) al disegno dello stesso artista "Diana e le Ninfe che inseguono i Satiri".
Thìasos marino Scuola mantovana II decennio del secolo XVI Olio su tavola Cm 20x54 Inv. 1186 Posizione: VII. Sala di Diana |
Già attribuito a Lorenzo Leonbruno, questo monocromo è da assegnare ad un anonimo artista di ambiente mantovano.
Sant’Anna che legge Artista cremonese II decennio del secolo XVI Olio su tavola Cm. 22x28 Inv. 1107 Posizione: IX. Sala di Pallade |
Già attribuito a Lorenzo Leonbruno, questo monocromo è da assegnare ad un anonimo artista di ambiente mantovano.
Cristo giovinetto Bottega di Bernardino (Cotignola 1460/70-c. 1510) Francesco Zaganelli (Cotignola, fine del sec.XV-Ravenna 1531) Primi del secolo XVI Olio su tavola Cm 42x34 Inv. 993 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Già attribuito nell’inventario d’Arco alla cerchia dello Zaganelli [Chiara Tellini Perina], l'opera in esame ci pare possa senz'altro ascriversi alla bottega dei maestri di Cotignola; bene infatti si collocano i caratteri stilistici di questo Cristo giovane alla loro maniera che nasce dalla interferenza sul substrato della pittura ferrarese di elementi umbri, perugineschi, nonché veneti e poi ancora nordici, düreriani in particolare nello stile di Francesco. Lo smalto luminoso dei pigmento cromatico che riveste le forme, il ritaglio preciso del volto, il suo modellato solido ed intenso, la resa incisiva del panneggio, i grafismi dei capelli regolarmente inanellati, ci fanno propendere per la maniera di Francesco Zaganelli, anche se non ci pare di ravvisare quella durezza di forme, quella asciutta e rigida solidità scultorea, quella acuta e nervosa grafia che caratterizzano gli inizi del suo periodo ravennate (1513-1532), quando più spinte e decise si fecero in lui le tendenze nordiche; ma ci pare invece di intravedere una vena più dolce e più morbida delle forme che deriva sicuramente dal fratello Bernardino.
Manuela Zanelli
San Gerolamo in preghiera nella grotta Artista piemontese Inizi del secolo XVI Olio su tavola Cm 132x62 Inv. 962 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Franco Moro
San Gerolamo Artista tedesco Primi del secolo XVI Olio su tavola Cm 56x45 Inv. 1070 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Cristo davanti a Pilato Antonio della Corna (documentato tra il secolo XV e XVI) Secolo XVI Olio su tavola Cm 39x29 Inv. 967 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Forse di una serie di tavolette con scene della “Passione di Cristo”, pubblicate da Federico Zeri, facenti parte di un retablo smembrato.
Marco Tanzi
Ritratto femminile (monaca?) Artista tedesco Prima metà secolo XVI Olio su tela Cm 72x60 Inv. 1058 Posizione: X. Sala Themis o della Giustizia |
Albero genealogico della famiglia Agnelli Secolo XVI Olio su tela Cm 170x131 Inv. 703 Posizione: XX. Sala dei Cesari |
L'albero genealogico degli Agnelli di Mantova (i cui discendenti sono gli Agnelli di Torino) riguarda il periodo che va dall'XI al XVI secolo. Il motivo per cui la genealogia degli Agnelli si trovi in palazzo d'Arco non è stato mai appurato: ma si può immaginare che fosse un omaggio al ceppo mantovano di una famiglia che per secoli fu potentissima e molto vicina ai Gonzaga. L'albero di palazzo d'Arco si estingue nel XVI secolo per il fatto che verso la metà del 1500 gli Agnelli, coinvolti in una congiura di palazzo, dovettero riparare nel Napoletano, da dove poi risalirono ancora al nord insediandosi nella val Chisone, dove più tardi venne acquisita villa Savoia a Villar Perosa.
V. Parazzoli
Immagine non disponibile | Salvator Mundi Scuola lombarda Secolo XVI Olio su tavola Cm 31x24 Inv. 996 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Venere che disarma Amore Orazio Samacchini (Bologna 1532-1577) Olio su tela Cm. 64x50 Inv. 1213 Posizione: VII. Sala di Diana |
La tela sembra da riferire al bolognese Orazio Samacchini, sensibile al manierismo internazionale di Spranger o di Goltzius. Questo aspetto della sua cultura, ancora non ben conosciuta, è apparso a Bologna a Palazzo Vizzani e a Città di Castello a Palazzo Vitelli. Il Winkelmann ha attribuito a Samacchini "Venere e Amore” (Zagabria, coll. privata) che rappresenta un tema vicino a quello della tela di Mantova, evidentemente basato su un motivo che ispirò il Parmigianino, così come Paolo Veronese e, più tardi Watteau. Del resto la tela di Palazzo d'Arco manifesta uno spiccato classicismo: la posa della Venere ricorda, contemporaneamente, sia la “Leda” di Leonardo sia la “Galatea” di Raffaello, inoltre la composizione rammenta antichi cammei. Il tema, uno degli "Scherzi d'amore" di Odoardo Fialetti "Venere che disarma amore”, è un appello all'assopimento della passione e al termine degli eccessi amorosi, un tema casto, in contrasto con la sensuale nudità della Venere, commentato simbolicamente dallo scorrere dell'acqua della fontana, e dalla coppia delle colombe ai piedi della Dea, che rifiuta di cedere alle suppliche d'Amore rivendicando invano la freccia che ella gli ha sottratto.
Silvie Béguin
Flagellazione di Cristo Lorenzo Costa il Giovane (Mantova c. 1537-1583) Olio su tela Cm 77x65 Inv. 960 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Chiara Tellini Perina
Cristo portacroce Copia antica da Giovan Francesco Maineri (Parma, notizie dal 1489 al 1506) Secolo XVII Olio su tavola Cm 60x50 Inv. 983 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Franco Moro
Cristo portacroce Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma (Vercelli 1477-Siena 1549) (attribuito a) Olio su tela Cm 77x75 Inv. 981 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
Già assegnato al Sodoma da Chiara Tellini Perina e confermato da Franco Moro.
Busto di Redentore Paris Bordon (Treviso 1500-Venezia 1571) Olio su tela Cm 55x44 Inv. 963 Posizione: XI. Sala delle Raffigurazioni Sacre |
L'impianto della figura corrisponde allo schema del ritratto veneto dei primi decenni del Cinquecento. La figura del Cristo è tagliata all'altezza del busto: compaiono la veste rosa violacea, dallo scollo bordato da un semplice ricamo, e la testa, ombreggiata dai capelli e dalla barba nera. Nel volto s'impone l'intensità dello sguardo, denso di grave dolcezza. Il nome che qui si propone è quello di Paris Bordon. La testa di "Redentore" della collezione mantovana è condotta con piena padronanza del linguaggio tonale, ma piegata ad un'iconografia lombarda, quasi rustica, dove è avvertibile tanto l'eco del Lotto quanto quello del Romanino. A riprova basti il confronto con il "Cristo benedicente" della National Gallery di Londra, del medesimo Paris, cui siamo portati a pensare per consonanza tematica, atteggiato in un clima artificioso, filtrato attraverso le esperienze manieristiche dell'Italia centrale e i contatti, iniziati nel 1538, di Paris Bordon con la cultura francese. Dal confronto fra i due dipinti, è chiaro, a mio avviso, che il "Redentore" della collezione D'Arco costituisce il prototipo delle altre figure del "Redentore" trattate dall'artista ("Redentore" della Galleria dell'Accademia di Ravenna, "Redentore benedicente" de l'Aja, Mauritshuis) tutte comprese nel periodo manieristico di Paris Bordon.
Chiara Tellini Perina
Scena di mercato con vendita di selvaggina Artista seguace di Pieter Aertsen (Amsterdam 1508-1575) e Gioachim Buenckelaer (Anversa 1533-1573) Olio su tela Cm 105x152 Inv. 1370 Posizione: IV. Sala delle Nature Morte |
La tela era assegnata a Vincenzo Campi e così descritta da Manuela Zanelli (1980): “Si tratta della tela che rappresenta una "Scena di mercato con vendita di selvaggina", opera da attribuire per analogie iconografiche e stilistiche con quadri di simile soggetto a Vincenzo Campi. Fu senza dubbio su esempi dei fiamminghi, quali Pieter Aertsen e Gioachim Buenckelaer che Vincenzo Campi si specializzò in queste scene di genere interpretandole con una vena vivace e popolaresca e a volte con gusto "rozzamente sensuale ed oggettivo", come lo ha definito il Delogu , ma senz'altro significativo per gli sviluppi del naturalismo lombardo e generalmente settentrionale della fine del '500; il tema fiammingo della natura morta con figure passerà infatti dal Campi al bolognese Passerotti ed infine ad Annibale Carracci. In questo quadro d'Arco, come nei tardi dipinti che gli si possono attribuire, si rivela lo stesso modo di ordinare la composizione e di concepire lo spazio con soluzioni manieristiche. In primo piano sempre in bella mostra la natura morta messa a fuoco con un gusto dell'osservazione diretta tipicamente fiammingo. In questo caso si tratta di polli, conigli e fagiani che, per effetto di prospettiva ribaltata, sembrano fuoriuscire dai canestri per rovesciarsi sullo spettatore. Dietro stanno i venditori, figure di popolani che sembrano con i loro sguardi ed atteggiamenti vivaci voler richiamare l'attenzione di chi guarda quasi si trattasse si declamare le qualità della merce al banco di vendita di un mercato. Oltre lo spazio angusto della bottega ove uomini e cose sono veduti con lo stesso piglio arguto e vivace si apre un pittoresco scorcio di gusto nordico con case sulle rive di un corso d'acqua attraversato da un ponticello."
Franco Moro
Gentiluomo in nero con barba e collare bianco Artista emiliano Seconda metà del secolo XVI Olio su tela Cm 109x88 Inv. 1094 Posizione: IX. Sala di Pallade |
Franco Moro
Immagine non disponibile | San Francesco riceve le stigmate Artista del Centro Italia Seconda metà del secolo XVI Olio su marmo Cm 29x45 Inv. 1220 Posizione: II. Sala delle Vedute Architettoniche |
L'opera è da identificare con il "quadro di s. Francesco che riceve le stigmate sul marmo incornisato di ebano" ricordato nell'inventario del 1623 di Palazzo Chieppio. (Rodolfo Signorini)
Franco Moro
Don Pietro Franzoni con un teschio sulla mano destra Artista del Nord Italia Fine del secolo XVI Olio su tela Cm 79x56 Inv. 1354 Posizione: III. Sala dei Ritratti |
Vi è una scritta in oro sulla tela:
DEL REVERE(n)DO DO(n)
PIETRO FRA(n)ZONI
LA VERA EFFIGIE É
QVESTA ET LA SVA ETADE
ERA DI CINQVE LVS
TRI ET VNA ESTATE
ET ERA DI COS
TVMI ONES
TI ET BO
NI
R(everendu)S PET(r)VS. FR(anzon)VS. AE(ta)TIS AN(no)RVM XXXI
SVPEREST
SOLVM MIHI OOOOOSEPVLCRVM
Franco Moro
Immagine non disponibile | Giardini con villa su un canale e amorino con fiaccola accesa Ludovico Toeput detto il Pozzoserrato (Anversa c. 1550-Treviso 1603) Olio su tela Cm 90x120 Inv. 1203 Posizione: VII. Sala di Diana |
Chiara Tellini Perina
Ponte Pietra a Verona e amorino con fiaccola accesa Ludovico Toeput detto il Pozzoserrato (Anversa c. 1550-Treviso 1603) Olio su tela Cm 90x120 Inv. 1210 Posizione: VII. Sala di Diana |
Chiara Tellini Perina
Ritratto di uomo in armatura (di casa Bevilacqua?) Artista della scuola di Paolo Caliari detto il Veronese (Verona 1528-Venezia 1588) Fine del secolo XVI Olio su tela Cm. 109x91 Inv. 1097 Posizione: IX. Sala di Pallade |
Franco Moro
Ritratto di donna cieca Annibale Carracci (Bologna 1560-1609) (attribuito a) Ultimo decennio del secolo XVI Olio su tavola Cm 28x24 Inv. 1349 Posizione: III. Sala dei Ritratti |
Il "naturalismo" di questo volto, che il pittore esprime con una pennellata sicura, tenendo conto della fonte di luce proveniente da destra, rilevandone particolari preziosi (come il risvolto della blusa attorno al collo, i passaggi chiaroscurali, e la collocazione in uno spazio certo così in anticipo sulla pittura dell'800), ci inducono a situare l'opera in area carraccesca, e in direzione di Annibale. Non è da escludere che questa "cieca" faccia parte della serie resa nota dalla Ottani Cavina (1987, 1989) che la studiosa con buoni argomenti assegna alla mano di Annibale e alla sua cerchia più stretta. Mi riferisco in particolare ai due studi di "cieche " riprodotte alle figure 141-142 (Ottani Cavina, 1987), e al disegno degli Uffizi (Inv. 12368 F) già Agostino Carracci, e giustamente restituito ad Annibale (Ottani Cavina, 1989, p. 28, fig. 31), e più di recente (Ottani Cavina, in "Idea prima" Disegni e modelli preparatori pittura di tocco dal '500 al '700, catalogo della mostra, Bologna 1996, pp. 12-19). Una datazione all'ultimo decennio del Cinquecento ci sembra la più probabile.
Mario di Giampaolo
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